(ottobre 2016)
a cura di Nicola G. De Toma, Vincenzo F. Scala, Vinicio Ruggiero


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Temporalità

L’essere temporale. E’ il tempo, la durata, o l’esistenza di un’azione o il verificarsi di una condizione.
E’ il succedersi degli avvenimenti nel tempo. Il dare un tempo ben definito a tutto ciò che ci succede e a tutto ciò che facciamo, in contrapposizione alla atemporalità, al non esserci tempo.
E’ la dimensione dentro la quale viene concepito e ricordato il trascorrere delle cose e degli eventi.
E’ il saper determinare il momento idoneo per svolgere determinate cose o il periodo necessario previsto per compiere un’operazione.

Terra di confine

Il confine, o se vogliamo la frontiera, in geografia e nel diritto internazionale è quella linea che separa due stati. Ci sono quindi frontiere e confini  storici, geografici, sociali , economici, culturali, politici. E ci sono anche frontiere psicologiche, mentali: sono linee che dividono un noi da un loro, un loro da un altro loro, me da me, me da te, un qualcosa da qualcos'altro. A volte può sembrare quasi che il termine confine possa far rima con paura. Il confine, la frontiera andrebbe attraversata e riattraversata. Prima dentro noi stessi e poi fuori da noi. In Montagnaterapia, però, noi proviamo a fare un percorso al contrario:  attraversiamo prima il confine che è fuori di noi, poi quello dentro. Questo può produrre una spaccatura. È dalla spaccatura che si deve cominciare Quella spaccatura, che può rappresentare una terra di confine, è un luogo simbolo dove cominciare a riflettere su altri linguaggi, altre visioni, altre possibilità future. Il rito della montagna diventa anche una possibilità di attraversamento e di riattraversamento  di TERRE DI CONFINE, di frontiere, non più come frettolosi turisti del mondo dell'altro, ma come PERSONE ed individui che partecipano ad un processo di trasformazione che porta all'incontro, e non più alla separazione.


Terra di mezzo

La Terra di Mezzo (Middle-earth) classica è una rielaborazione mitologica del nostro mondo in chiave medioevale creato dallo scrittore John Ronald Reuel Tolkien, nella quale sono ambientate alcune sue opere (Lo Hobbit, Il Signore degli Anelli, parte del Simarillion). Dice lo scrittore: "...La Terra di Mezzo ... non è una terra che non c'è, senza relazione col mondo in cui viviamo ... Deriva dal termine dell'antico inglese mid-del-erde, modificazione del termine dell'antico inglese middangeard: il nome per le terre abitate dagli uomini "in mezzo al mare".

La terra di mezzo è anche, secondo la scrittrice Nancy Farmer il nostro mondo della fantasia, dove scorre il tempo.

Il rito della montagna può diventare, così, un viaggio attraverso TERRE DI MEZZO che possono anche essere il nostro mondo psichico fantastico, fatto di pensieri che si liberano, di idee che si chiarificano, di illusioni che si avverano, di speranze che si concretizzano, di sentimenti ed emozioni che finalmente si manifestano.

Transumanza

La Transumanza vuol dire pastorizia trasmigrante. La parola è composta da trans (di là da) e da humus (terra). non è pastorizia nomade, cioè senza fissa dimora, e neppure quella stanziale, osora.
Essa si basa su quattro capisaldi: il cambio tra due sedi note in determinati periodi dell’anno, la proprietà del gregge, lo sfruttamento diretto dello stesso; l’orientamento presso l’economia di mercato.

La transumanza, diffusa in Spagna, Francia meridionale, Svizzera, Germania meridionale, area dei Balcani e Italia, conobbe la sua maggiore affermazione in Italia nelle regioni Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Basilicata.

Il tragitto dei transumanti avveniva lungo una rete regolamentata di larghe vie erbose: i tratturi. I tratturi furono strade particolari e, sotto molti aspetti, irripetibili. I tratturi, grandi strade nei terreni e sulle montagne, considerate delle vere e proprie autostrade, erano larghi 60 passi napoletani (111 metri). I tratturelli erano strade secondarie e di smistamento della larghezza di 37, 27 e 18 metri.

Disposti come i meridiani (tratturi) e i paralleli (tratturelli e bracci), essi formarono una rete viaria a maglie strette che copriva in modo equilibrato e uniforme tutto il territorio. Furono non solo strade, ma anche pascoli per le greggi in transito. Essi si snodavano dalle aree piu’ interne dell’Abruzzo, e precisamente dalla conca di L’Aquila, da Celano nella Marsica, e da Pescasseroli nell’alta Val di Sangro, fino al Tavoliere di Puglia nei dintorni di Foggia e Candela. In inverno si svernava a valle, in estate si tornava ai pascoli d’altura.

I tratturi seguivano itinerari fissati dall’uso nei millenni, soprattutto a partire dall’epoca romana, quando la pastorizia abruzzese assunse il carattere transumante che ne consentì l’eccezionale sviluppo.
Lungo le vie erbose nascevano, discoste dai centri abitati le chiese fratturali, silenziose, circondate dal verde;  un piccolo sentiero le collegava ai "bracci" del tratturo; all'interno c'erano dei semplici portali in pietra, Madonne consolatrici e Santi patroni. Sulle pareti meridionali, spaziosi porticati offrivano ricovero alle pecore e conforto al corpo e all'anima ai pastori. Il santo protettore delle greggi era San Michele Arcangelo.

Quando si giungeva a destinazione nelle aree di pascolo, un ricovero relativamente meno precario per uomini ed animali era costituito dalle pajare, piccoli complessi di capanne in pietra a secco realizzate dagli stessi pastori. Le pajare si trovano spesso riunite in gruppi e circondate da stazzi, anch’essi in pietra a secco.

Lungo il percorso c’erano vasti dei spazi erbosi per la sosta degli animali, chiamati riposi.

Durante il tragitto potevano trovare uomini disposti ad ospitarli nelle proprie case durante la notte; quest' ultimi in cambio ricevevano latte e formaggio. I pastori però erano soliti dormire all' aperto: essi la sera si riunivano e mangiavano insieme, poi si addormentavano. Per evitare eventuali furti facevano la guardia a turni e per tenere lontani i lupi venivano aiutati dai cani dotati di un collare di ferro resistente ai morsi.

La mattina, dopo aver ricevuto una razione di cibo, ogni pastore ripartiva con il proprio gregge di circa duecento pecore accompagnato dal cane e da quattro o cinque asini. Il pastore portava con se poche cose: il suo corredo, un pentolone dove fare il formaggio e la ricotta, un bastone, una sacca e delle coperte per la notte. I suoi indumenti erano molto caratteristici: le chiochie erano basamenti di pelle di capra con le quali venivano abbinate delle pesanti calze di lana; gli stivaletti avevano un tacchetto di ferro per permettere di arrampicarsi velocemente.

In Puglia, il pastore faceva nascere gli agnellini e ogni mattina mungeva le pecore e faceva il formaggio nel pentolone.

La moglie e i figli restavano sempre a casa. I figli maschi già a 7-8 anni iniziavano a lavorare come garzoni per il padre, mentre le figlie aiutavano la madre nelle faccende domestiche. Quest' ultime si sposavano molto giovani anche se prima di farlo era usanza fidanzarsi. Per far vedere ad altri pretendenti di essere già stata promessa, la donna portava al collo una grossa collana con due cuori, la presentosa.

Ogni 1000 pecore si ritenevano necessari dai 7 ai 10 pastori ai quali andavano aggiunti altri addetti. Al di sopra di tutti c'era il massaro coadiuvato dai pastoricchi che si disponevano in testa e ai lati del gregge durante il trasferimento, aiutati dai cani. I butteri erano addetti al trasporto di materiale su muli, principalmente le reti per i recinti notturni. I casari erano addetti alla produzione del formaggio. Ogni gregge di 15-20 mila pecore inpegnava, quindi, almeno 150-200 persone.

Ad Aprile il pastore tosava le pecore per poi ripartire verso la montagna il 10 Maggio, quando la neve in montagna era ormai sciolta ed i pascoli dell'appennino abruzzese erano verdi e lussureggianti.

La transumanza fu regolata durante il periodo romano da varie leggi, ma fu con i normanni, soprattutto con Federico II che ebbe il più grande sviluppo.

Trekking

Il trekking è una pratica sportiva divertente e praticabile ad ogni età. Si tratta di una spedizione escursionistica, per lo più fatta a piedi, che può durare per più giorni, fondamentalmente in zone montagnose normalmente lontane dalle strade di comunicazione.

Regole per un buon trekking

E’ importante avere un buono stato di salute e un sufficiente livello d’allenamento, sapendo che esistono delle controindicazioni per patologie cardiocircolatorie, respiratorie, renali, ematologiche e metaboliche.

Prima di tutto bisogna osservare tutte le regole per evitare il mal di montagna, non compiere sforzi eccessivi, bere in abbondanza.

L’equipaggiamento riveste un ruolo molto importante.
Sono consigliate calze da trekking con scarponcini già”conosciuti”, in modo da evitare il fastidioso insorgere di dolori o vesciche. Un cappello a tesa larga, gli occhiali ben schermati, una crema solare uno stick per le labbra rappresentano i sistemi di difesa dalle radiazioni solari. Sarà necessario, portare nello zaino, un impermeabile e non un ombrello, per ripararsi dalla pioggia, un maglione, dei guanti per difendersi dal freddo, indumenti di ricambio chiusi all’interno di sacchetti di plastica, in quanto in montagna facilmente cambia il tempo nel pomeriggio. Nell’attrezzatura ci dovrebbe essere un piccolo pronto soccorso con un antidolorifico, un antiistaminico, un collirio, cerotti medicati, garze e disinfettante.

Bere in abbondanza: è opportuno avere una buona borraccia.

Attenzione all’alimentazione: un buon camminatore dovrà consumare una buona dose di carboidrati complessi (soprattutto pane, pasta, riso).

Infine, è consigliabile utilizzare due bastoncini, che aiutano le articolazioni soprattutto nelle discese.

“… Attraverso il camminare vi è la ricerca di un contatto diretto con la natura. Il trekking come momento di raccoglimento in se stessi, per instaurare un rapporto più autentico e toccante con la natura. vivere appieno tutti i fenomeni naturali e riceverne di conseguenza benefici sia fisici, una potente ricarica energetica, che emotivi, una sensazione impagabile di grande intimità con l'ambiente naturale …” (Elio Sabena, Vivere il paesaggio).

I nostri cinque sensi riescono a trovare una dimensione più “sana”, migliore:

“…Innanzitutto il tatto: tramite l'appoggio fermo e attento dei nostri piedi sulla terra, nella fatica del camminare, possiamo sentire l'energia che la terra ci rimanda, e sentirci sorretti. Se poi, ogni giorno, nelle pause, o alla sera, arrivati al campo, ci togliamo le scarpe e camminiamo a piedi nudi sull'erba quest'energia della terra sarà ancora più evidente e benefica.
Attraverso la vista, la luce, i colori della luce e il buio, ci inviano stimoli continui a fluire e a cambiare punto di vista.
L'odore della terra e delle stagioni ci fa essere più vicini alla nostra parte animale.
Gustare gli aromi delle erbe e dei frutti selvatici, e l'acqua delle sorgenti, ci insegna ad essere ricettivi al nutrimento.
Ascoltare le foglie che cadono, lo scorrere di un torrente, il verso di un animale, imparare ad ascoltare il silenzio, o concentrarsi sul suono del nostro passaggio, sentire il nostro respiro sbloccato, tutto questo risveglia l'attenzione e l'abbandono …”

(Maria Nicoletta Buchicchio, Il valore terapeutico del Trekking).