(ottobre 2016)
a cura di Nicola G. De Toma, Vincenzo F. Scala, Vinicio Ruggiero


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E

Edema cerebrale

L’Edema Cerebrale d’Alta Quota (HACE) è una patologia rara ma potenzialmente mortale e come tale, se non trattata tempestivamente, può condurre al decesso in meno di 12 ore. La sua insorgenza è subdola, tanto che non siamo ancora a conoscenza né dei precisi meccanismi che ne stanno alla base, né della sua sintomatologia precoce. I sintomi precoci (disturbi neurocognitivi) possono essere evidenziati attraverso la somministrazione di tests psicologici. Ma la diagnosi certa di edema cerebrale può essere fatta solamente nel momento in cui ne compaiono i sintomi tardivi (vedi oltre), ma a quel punto l'organismo è già talmente compromesso da rendere spesso difficile il salvataggio.

Caratteristici dell'edema cerebrale da alta quota sono i fenomeni di:

atassia (dal greco ataxia, disordine), disturbo consistente nella progressiva perdita della coordinazione muscolare che rende quindi difficoltoso eseguire i movimenti volontari. Vi è mancanza di coordinazione fra tronco e braccia, tronco e capo, ecc. Vi possono essere anche disturbi associati, quali incoordinazione dei movimenti dell'occhio, incontinenza, difficoltà di deglutizione e movimenti involontari di arti, capo e tronco.

anosognosia, fenomeno molto complesso che significa mancanza di coscienza di malattia. Consiste nell'incapacità del paziente di riconoscere e riferire il suo stato di malattia, di cui non è consapevole, manifestando invece la convinzione che tutto funzioni correttamente nel suo organismo. Se messo a confronto con i suoi deficit, il paziente attua delle confabulazioni oppure delle spiegazioni assurde, incoerenti con la realtà dei fatti. In montagna questo si può tradurre in mancato senso di paura, nel rifiuto di qualsiasi soccorso e nel mettere in atto comportamenti rischiosi, sovrastimando la possibilità di effettuare specifici compiti.

Empowerment

Attualmente c'è una parola nominata più volte da più parti: EMPOWERMENT, che significa letteralmente RENDERE POTENTI.
La definizione di Empowerment viene data da Nina Wallerstein nel 2006:
L’empowerment è un processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenza (sulle proprie vite), al fine di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità di vita.
Possiamo definire l'E. sia come strumento, e quindi come processo, sia come fine, e quindi come risultato, della promozione della qualità della salute. L'E. è qualcosa in grado di aumentare il controllo sulla propria esistenza, attraverso un miglioramento del senso di padronanza e controllo su ciò che riguarda la propria vita. E' acquistare un sentimento vissuto di sé. Le persone imparano ad avere  competenze,  motivazione e  risorse per intraprendere attività volte al miglioramento della propria vita.
Il pieno E. è dato dall'E. psicologico + l'E. socio-ambientale (risorse e possibilità fornite/consentite dall'ambiente).
Le caratteristiche seguenti caratterizzano l'Empowerment:

  • Attribuzione a sé stesso dei risultati e degli effetti del proprio agire
  • Tendenza a percepire sé stesso come persona capace di scegliere e di mettere in atto comportamenti adeguati, capaci, efficaci
  • Sentire la volontà e il desiderio di essere dentro sé stessi e di essere partecipi
  • Valutazione positiva delle proprie capacità
  • Tendenza a ritenere i fenomeni, le variabili, le cose che ci circondano siano gestibili, controllabili e indirizzabili
  • Pensare che un cambiamento responsabile sia possibile, anche in relazione alle persone "altre" da noi

Esistono, inoltre, tre livelli di Empowerment:
1. E. PSICOLOGICO. L’empowerment psicologico scaturisce dalla combinazione di tre componenti:
-  convinzione soggettiva di poter influire sulle decisioni che incidono sulla propria vita (componente intrapersonale);
- capacità di comprendere il proprio ambiente socio-politico (componente interpersonale);
-  partecipazione ad attività collettive mirate a influenzare l’ambiente socio-politico (componente comportamentale).
2. E. ORGANIZZATIVO. A livello organizzativo, l’E. include i processi e le strutture organizzative che aumentano la partecipazione dei membri e migliorano l’efficacia dell’organizzazione nel raggiungere i propri scopi. Un’organizzazione che dà l’opportunità ai propri membri di aumentare il controllo sulla propria esistenza è definita organizzazione “empowering”; un’organizzazione che si sviluppa con successo e che influenza le decisioni politiche è definita un’organizzazione “empowered”. Queste caratteristiche possono essere entrambi presenti un un’organizzazione.
3. E. DI COMUNITÀ. A livello di comunità, l’E. attiene all’azione collettiva finalizzata a migliorare la qualità di vita e alle connessioni tra le organizzazioni e le agenzie presenti nella comunità. Attraverso l’empowerment di comunità si realizza la “comunità competente” (Iscoe, 1974), in cui i cittadini hanno “le competenze, la motivazione e le risorse per intraprendere attività volte al miglioramento della vita”.

Equilibrio (– squilibrio/disequilibrio)

L’equilibrio rappresenta la posizione e il controllo della posizione e del movimento del corpo nello spazio. E’ il prodotto di un’interazione e coordinazione nel cervello di impulsi nervosi che provengono dall'orecchio interno, dagli occhi, dai muscoli del collo, e dai muscoli delle articolazioni degli arti. Un disturbo in una qualunque di queste parti (traumatico, circolatorio, tossi-infettivo, tumorale) può dare origine ad una sensazione soggettiva di vertigine o di instabilità. Anche disturbi delle varie funzioni del corpo possono dare vertigine poiché interferiscono nella coordinazione degli impulsi che arrivano al cervello. Il cervello reagendo ad impulsi anormali o incoordinati, può rispondere in modo che l'individuo abbia una falsa sensazione di movimento.
In senso traslato, il termine si adopera in fisiologia ( equilibrio di membrana, , acido-basico, azotato, legge dell'equilibrio mobile) per indicare costanti organiche alla cui conservazione, essenziale per la vita, provvedono sistemi fisico-chimici che si oppongono a mutamenti patologici.

Equilibrio ecologico

Prima di parlare di EQUILIBRIO ECOLOGIO è necessario definire che cos'è l'ECOLOGIA e che cos'è un ECOSISTEMA.

Per ECOLOGIA, che deriva dal greco oikos,casa o ambiente, e logos, studio o discorso, è quella parte delle scienze naturali che studia l'ECOSFERA, cioè la porzione della Terra in cui è presente la vita organizzata in aggregati sistemici detti ECOSISTEMI, le cui caratteristiche sono determinate dall'interazione degli organismi tra loro e/o con l'ambiente circostante. L'ecologia può essere definita, più semplicemente come lo studio delle interrelazioni che intercorrono fra gli organismi e l'ambiente in cui vivono, comprendendo, l'ambiente, organismi viventi (fattori biotici) e mondo fisico circostante (fattori abiotici). Infine per ecologia si può intendere l'insieme delle conoscenze che riguardano l'economia della natura.

ECOSISTEMA è una porzione di biosfera delimitata naturalmente, cioè l'insieme di organismi animali e vegetali che interagiscono tra loro e con l'ambiente che li circonda. Si intende per biosfera, in biologia, l'insieme delle zone della Terra in cui le condizioni ambientali permettono lo sviluppo della vita. Le profonde modificazioni geologiche e climatiche della biosfera avvenute durante la storia del pianeta hanno influito profondamente sugli ecosistemi e sugli organismi viventi, determinando processi evolutivi ed estinzioni di moltissime specie viventi. Negli ultimi centocinquanta anni si è verificata, invece, una "modifica non naturale", ma di origine antropica, causata dallo sviluppo della popolazione umana. La specie umana ha saputo conquistare una posizione di predominio su tutte le altre specie viventi e si è diffusa in modo mai avvenuto nella storia ed ha indotto modifiche ambientali profonde con la sua cultura e la sua tecnologia. Questi cambiamenti hanno influenze sulle condizioni ambientali e climatiche. I principali fattori antropici che influiscono sulla biosfera sono:

  • la crescita demografica
  • l'inquinamento dell'aria, delle acque e dei terreni
  • il disboscamento
  • l'urbanizzazione
  • l'agricoltura industrializzata
  • l'industrializzazione
  • lo sfruttamento delle risorse, in particolare dei combustibili fossili e delle materie prime rare.

Ogni ecosistema è costituito da una comunità di organismi viventi che interagiscono tra di loro e con la componente abiotica. L'equilibrio tra queste interazioni è un equilibrio dinamico. Gli ecosistemi presentano quattro caratteristiche comuni: sono sistemi aperti; sono strutture interconnesse con altri ecosistemi; tendono a raggiungere e a mantenere nel tempo un certo equilibrio dinamico e quindi una particolare stabilità mutevole; sono sempre formati, come si diceva prima, da una componente abiotica e da una componente biotica. La componente abiotica è costituita dagli elementi non viventi, dai componenti organici e inorganici e da fattori climatici. La componente biotica è costituita da organismi animali e vegetali che si possono considerare come appartenenti a tre diverse categorie: i produttori primari (piante, alghe, alcuni batteri, cioè organismi autotrofi), i consumatori (eterotrofi, cioè non in grado di produrre il proprio nutrimento), e i decompositori (per es. funghi e batteri che si cibano decomponendo i tessuti degli organismi morti). Da un altro punto di vista, si distinguono: ecosistemi naturali, cioè quelli che una volta raggiunto l'equilibrio ecologico (climax) hanno una elevata produttività lorda e una produttività netta nulla; ecosistemi artificiali: con una minore produttività lorda e con una produttività netta positiva (quelli agricoli) o negativa (quelli urbani). Infine un ecosistema può essere definito fragile (o poco resiliente) se ha un basso livello di biodiversità (animale, vegetale, ecc.) perché più debole nei casi di stress ambientali (intossicazione, introduzione di specie diverse più aggressive, ecc.) rispetto ad uno a più elevato livello di biodiversità (o più resiliente), il quale è favorito per la sua sopravvivenza e per la quantità di biomassa (vegetale, animale ecc.)

Ora possiamo definire cosa è l'equilibrio ecologico.  L'equilibrio ecologico non è altro che la risultante delle relazioni reciproche instauratesi tra gli organismi viventi e tra questi e l'ambiente naturale. Questo equilibrio è continuamente sottoposto a oscillazioni e a variazioni di qualcuno dei propri componenti, alle quali rispondono reazioni e compensazioni degli altri fattori. In tal modo si verificano fluttuazioni entro limiti che consentono a un sistema biologico di permanere e di caratterizzarsi. Il mantenimento di questo equilibrio è la condizione principale per l'esistenza degli organismi viventi. A volte è sufficiente la variazione anche di uno solo dei fattori ambientali, oltre un dato limite, per provocare (qualora non venga compensata) gravi perturbazioni nel sistema (rottura dell'equilibrio), con possibile estinzione di più specie. Ogni organismo, infatti, raggiunge e mantiene un proprio equilibrio dinamico con l'ambiente, grazie a un particolare livello di specializzazione e alla possibilità di reagire attivamente a ogni variazione ambientale. Qualora sia stato raggiunto un grado estremo di specializzazione, l'organismo perde in gran parte la plasticità adattativa verso le mutate condizioni ambientali e decadrà rapidamente. Un  esempio di questo è l'introduzione di animali erbivori voraci, come le capre, che ha provocato la distruzione di intere vegetazioni insulari caratteristiche, mettendo letteralmente a nudo il suolo ed estinguendo di conseguenza la fauna indigena strettamente dipendente da tale tipo di flora. L'uomo si rivela, quindi, come il più attivo elemento di perturbazione di equilibri naturali, anche su vasta scala. In proposito un altro esempio che si può ricordare è la conseguenza della lotta contro gli insetti dannosi alle colture agrarie. Con l'impiego su larghissima scala di antiparassitari chimici, l'uomo provoca la distruzione non solo degli insetti dannosi, ma anche di quelli utili (i parassiti e i predatori di specie nocive, gli impollinatori, ecc.) e di numerosi altri animali superiori con questi in equilibrio dinamico. In tal modo viene distrutto l'equilibrio naturale tra insetti predati e predatori (che si sarebbe potuto utilizzare con un oculato sistema di lotta biologica, favorendo cioè lo sviluppo e l'affermarsi dei nemici naturali) e si favorisce l'instaurarsi di nuovi equilibri non sempre utili all'uomo (per esempio la diffusione delle vipere e di parassiti resistenti agli insetticidi).

Equipaggiamento

(Ma, non si era parlato di un dizionario psicologico? Che c’è di psicologico in “equipaggiamento?)
Gli psicoanalisti Michael e Enid Balint, in un loro lavoro del 1959 introducono due termini, da loro coniati, con riferimento al greco antico, per rendere conto di due diversi atteggiamenti di fondo verso il mondo che possono variamente combinarsi nel comportamento di uno stesso individuo, ma che rimandano a due modalità radicalmente diverse.
Per rendere più semplice la descrizione gli autori si esprimono in termini personalizzati e parlano perciò di ocnofilo e di filobate come di due diversi tipi di individui.
Ocnofilo è colui che desidera tenersi aggrappato, saldamente attaccato, all’oggetto (nel senso psicoanalitico del termine che indica, quindi, un’alterità dotata di rilevanza per il soggetto) (vedi “Investimento”).
L’ocnofilo si sente sicuro in presenza dell’oggetto e teme, come pericolosi, gli spazi aperti e vuoti. Avverte continuamente il pericolo di essere abbandonato dal proprio oggetto ed ha, quindi, il bisogno di controllarlo per garantirsene la vicinanza.
Filobate, al contrario è colui che percepisce gli spazi vuoti come amici e vi si trova a suo agio. La minaccia sono i “contatti-rischio con oggetti potenzialmente pericolosi”.
“Mentre l’ocnofilo vive nell’illusione di essere al sicuro per tutto il tempo in cui rimane in contatto con un oggetto che gli da sicurezza, l’illusione del filobate è di non aver bisogno di nessun oggetto, e certamente di non aver bisogno di oggetti particolari, fatta eccezione per la propria attrezzatura specifica. L’ocnofilo crede fermamente che nascerà senz’altro un’intesa perfetta con l’oggetto prescelto, che questo lo proteggerà dal mondo cattivo, estraneo e forse pericoloso; il filobate sente che l’uso della propria attrezzatura gli permetterà di affrontare qualunque situazione; nascerà un’intesa con il mondo intero, e lui sarà in grado di evitare gli oggetti infidi. Mentre l’ocnofilo deve sperare di poter ottenere il favore e la preferenza da parte dell’oggetto, il filobate sente che conquistare il mondo è in suo potere, senza dover dipendere dai favori dei singoli oggetti, che danno poco affidamento”
Il filobate, come l’acrobata, desidera staccarsi dalla terra sicura (letteralmente acrobata significa “chi cammina sulle punte dei piedi”, cioè lontano dalla terra sicura) e avventurarsi nello spazio vuoto.
Nello spazio vuoto l’incontro con gli oggetti costituisce un rischio. Gli autori propongono gli esempi del pilota che si sente al sicuro mentre è in volo e per il quale il rischio risiede nel contatto con la terra. Lo stesso vale per il timoniere di una barca che deve porre attenzione nella navigazione quando entra o esce da un porto. O anche lo sciatore, per il quale gli oggetti-rischio possono essere i massi emergenti dalla neve, gli alberi, i crepacci.
Andare in montagna si costituisce, evidentemente, come un’attività prevalentemente filobatica.
Ora, dicono ancora gli autori, il filobate nel suo desiderio di esporsi a situazioni-brivido, caratterizzate dal volontario allontanarsi dalla sicurezza offerta dallo stare con i piedi per terra, fa affidamento esclusivamente sulle sue competenze e capacità e sul suo equipaggiamento. Vale a dire su ciò che gli è necessario e sufficiente per collocarsi negli spazi aperti con la fiducia di potervi stare a proprio agio.
Ecco allora che l’equipaggiamento assume rilievo particolare; è lo strumento che garantisce al filobate la possibilità di staccarsi dalla sicurezza dell’appoggio a terra e collocarsi senza danno negli spazi aperti.
L’escursionista sa bene quanto l’opportuno equipaggiamento sia importante e quanto una dotazione anche minima, come può essere un paio di calzature da montagna, faccia una grande differenza in certe condizioni (per esempio un percorso in pendenza e fangoso).
E l’attenzione all’equipaggiamento diventa un terreno che consente di mettere in evidenza alcune “patologie di equipaggiamento”.
Per esempio la tendenza a sviluppare un atteggiamento maniacale nei confronti dell’attrezzatura che deve sempre essere quella all’avanguardia, quella di migliore qualità e così via. Quasi che questo potesse essere, di per sé magica garanzia della possibilità di cavarsela in ogni circostanza.
Oppure la disposizione, nonostante si sappia bene cosa occorrerebbe portare con sé, a lasciare sempre a casa qualcosa che sarebbe opportuno avere nello zaino. In una sorta di fiduciosa aspettativa che qualche santo provvederà; come se si potesse pensare che sarà di sicuro il gruppo, nel suo complesso, ad essere dotato della necessaria autosufficienza, piuttosto che ogni singolo individuo (vedi “Abbigliamento”).
Ma vediamo in concreto qualche elemento dell’equipaggiamento dell’escursionista.
La mantella, per esempio.
Capo d’abbigliamento protettivo indispensabile in caso di pioggia (evento atmosferico non infrequente che può trasformare una piacevole scarpinata in una penosa marcia paragonabile alla ritirata dal fronte dopo Caporetto). Ha la funzione (impermeabilizzante) di proteggere persone e relativi carichi (leggi zaini) dalla (suddetta) pioggia, in modo assai efficace, componendo spesso figure alquanto grottesche.

Escursione-escursionismo

Escursione viene dal verbo latino excurrere = correre fuori.
Sicuramente correre fuori dai percorsi abituali. Fuori dalle strade asfaltate, dalle vie lastricate, dalle superfici pavimentate dei luoghi dove si svolge la vita quotidianamente; per spingere il piede su terreni più incerti e accidentati, su mulattiere, sentieri o magari su terreno aperto senza tracce di precedente passaggio; in ambienti altri (vedi “Wilderness”).
Ma anche fuori dall’esperienza della vita quotidiana, dalle occupazioni o disoccupazioni abituali, per dedicarsi ad altro.
E fuori dalla rete di relazioni di ogni giorno, o dall’assenza di una rete relazionale, per entrare in un diverso contesto di rapporti (vedi: appartenenza).
Correre fuori per guadagnare un diverso punto di vista sul mondo fisico, ma anche sul mondo dell’esperienza, come si esprime Ugo Foscolo nelle “Ultime Lettere di Jacopo Ortis”:
sono salito su la montagna più alta: i venti imperversavano; io vedevo le querce ondeggiar sotto a’ miei piedi; la selva fremeva come mar burrascoso, e la valle ne rimbombava; su le rupi dell’erta sedeano le nuvole…Nella terribile maestà della natura la mia anima attonita e sbalordita ha dimenticati i suoi mali, ed è tornata per alcun poco in pace con sé medesima.

Nell’escursionismo è sempre importante cercare di capire con quale tempo si parte e con quale tempo si arriverà: in quota la temperatura e le condizioni atmosferiche possono cambiare all’improvviso.
Consultare il percorso riportato sulla cartina per informarsi su quali difficoltà si va incontro: per esempio sapere quale è il dislivello da superare. Oppure vedere se lungo il percorso c’è qualche fonte con acqua, o controllare se il sentiero passa dentro al bosco, se ci sono dei tratti esposti o ci sono delle rocce da superare o se c’è un riparo da poter usare.
Bisogna essere preparati fisicamente per sostenere gli sforzi che la montagna richiede, e tenere ben presenti i propri limiti.
E’ importante fare pieno affidamento sui compagni di esperienza, anche nell’emergenza.
Equipaggiarsi sempre al meglio, al limite anche con un telefono satellitare.
E’ bene mettersi in marcia di buon ora per avere più ore di luce a disposizione.
Avvisare amici e parenti sul percorso che si vuole fare e sull’eventuale ora di rientro.
I pericoli più frequenti sono la caduta di pietre e i fulmini. Evitate o attraversate velocemente zone sovrastate da rocce e pietraie. In caso di caduta di pietre usare lo zaino per ripararsi il capo. In caso di temporale liberarsi di tutti gli oggetti metallici, allontanarsi da alberi e pareti verticali bagnate, cercare un riparo se possibile col terreno asciutto.

L’escursione, più poeticamente …
è un correre fuori per poi tornare dentro; sapendo che si potrà ancora correre fuori.
Noi pensiamo che questa possibilità di posizionarsi diversamente nel mondo, questa dialettica tra uscire e rientrare, questa possibilità di pensare da fuori alla vita dentro e, viceversa, ricordare da dentro cosa si è provato stando fuori, sia un elemento dotato di potenzialità evolutiva per le persone e, quindi, un aspetto fondamentale di una “escursione”.

Per riassumere… piccole note di comportamento in montagna.
Prima di tutto, non affrontare percorsi troppo impegnativi: muoversi sempre in base alle proprie possibilità e capacità. Se possibile, informare sempre qualcuno sull’ itinerario prima della partenza. Non cambiare destinazione. Seguire i sentieri ed evitare di prendere delle scorciatoie che possono portare troppo fuori percorso. Portare il telefono cellulare, meglio se satellitare, perché molte zone di montagna possono essere non coperte dal segnale telefonico. Partire da soli solo se si conosce bene il percorso o se si è escursionisti esperti. In montagna il tempo può cambiare rapidamente: portare sempre, anche durante una giornata estiva, un indumento pesante e una giacca a vento impermeabile, anche leggera. Usare delle scarpe comode: se si cammina lungo mulattiere o sentieri ben tracciati e tenuti anche un paio di scarpe da ginnastica, con suola scolpita, possono bastare; se si esce dai sentieri o ci si muove in alta montagna sono indispensabili degli scarponcini. Non dimenticare un cappello e degli occhiali da sole anche se la giornata è nuvolosa. Portarsi sempre da bere. Usare uno zaino comodo ed evitare di caricarsi troppo. Informarsi sul percorso da seguire e, possibilmente, utilizzare una cartina topografica.
Il buon escursionista non lascia tracce del proprio passaggio. Bisogna essere rispettosi dell'ambiente che ci circonda: cercate di non uscire dai sentieri, non fare schiamazzi, non disturbare gli animali, non raccogliere mazzi di fiori. Inoltre rispettare la proprietà privata: bisogna infatti ricordasi che anche i terreni all'interno dei Parchi sono in maggioranza di proprietà privata, i pascoli vengono irrigati e concimati, i boschi consortili sono regolarmente curati. Non accendere fuochi.

Esperto

Un esperto, è una persona alla quale, per motivo di professione oppure per una comunque acquisita competenza ed esperienza su una data materia, viene richiesto di fornire pareri su determinati argomenti. In generale la definizione di esperto è stabilita dal consenso degli altri specialisti e non è necessario per un individuo avere qualifiche professionali o accademiche per essere definito un esperto. Si è soliti chiamare esperto anche una persona che abbia saputo trarre profitto dalle sue od altrui vicissitudini personali, migliorando così le sue capacità di decisione. Le principali qualità degli esperti sembrano essere il notevole sviluppo delle abilità percettivo-attentive, la capacità di semplificare, quella di selezionare le situazioni dal punto di vista decisionale, una maggior creatività, il ricorso ad automatismi cognitivi, la capacità di reagire velocemente ad automatismi negativi rispetto alle proprie strategie. Tra gli ostacoli che impediscono un valido processo di soluzione dei problemi (cioè il formarsi dell'esperto) possiamo riconoscere l'indecisione, l'abitudine (vale a dire la persistenza di una disposizione abituale verso una soluzione che magari è stata valida un tempo, ma non lo è più attualmente), l'incapacità di scorgere alternative. Nel nostro caso la persona esperta è colui che ha avuto, nel tempo, la capacità di apprendere, sviluppare e porre in atto una serie di strategie positive che riguardano il rapporto con la montagna e il rapporto con le persone, il rapporto con il camminare e il rapporto con gli impedimenti all'andare, il rapporto con l'essere normali e quello con l'essere una persona con qualche disabilità, il rapporto tra il poter fare e la conoscenza dei limiti.

Esplorazione

E’ un comportamento volto ad acquisire informazioni sulle caratteristiche di un ambiente, un’indagine condotta in luoghi sconosciuti. Attraverso l’esplorazione le persomne acquisiscono le informazioni sull’ambiente memorizzando anche sensazioni di varia naturae possono utilizzare le informazioni apprese in occasioni successive.
E’ l’essere curiosi.
Si può percorrere un paese che non si conosce per prenderne coscienza o per cercare di conoscerlo.
E’ una forza che ti spinge ad investigare, a scoprire. Esisterebbe, infatti, una pulsione di esplorazione che si ridurrebbe progressivamente quando l’individuo ha immagazzinato le informazioni sull’oggetto o sull’ambiente esplorato.