(ottobre 2016)
a cura di Nicola G. De Toma, Vincenzo F. Scala, Vinicio Ruggiero


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Reciprocità

E’ la qualità o la condizione di tutto ciò che è vicendevole, scambievole, mutuo. L’essere giusti è l'idea della reciprocità nella mente nostra e degli altri. Questo termine ha ed ha avuto una importanza fondamentale nel rispetto delle diverse comunità tra loro. Accordi di reciprocità regolano infatti, le varie comunità religiose, gli stati, l’economia… Io voglio che tu mi rispetti… ma io ti rispetto…? Io voglio che tu mi voglia bene… ma io ti voglio bene…?
E' una delle chiavi per vivere meglio, tutti, tutti i giorni, continuamente.


Regole di comportamento in montagna
(Un po’ di buon senso è sempre meglio averlo)

PRIMA REGOLA: ricordiamoci che in montagna il tempo può cambiare rapidamente: bisogna quindi sempre portare, magari nello zaino, anche se siamo una giornata estiva soleggiata, un indumento pesante e una giacca a vento impermeabile. Ma se le indicazioni atmosferiche indicano brutto tempo è meglio non uscire.

SECONDA REGOLA: i sentieri sono quasi sempre molto scomodi: usiamo quindi delle scarpe comode. Se si cammina su mulattiere o sentieri ben tracciati un paio di scarpe da ginnastica con suola scolpita sono sufficienti; se si esce dai sentieri o ci si muove in alta montagna sono indispensabili degli scarponcini da escursionismo.

TERZA REGOLA: non bisogna dimenticare un cappello, degli occhiali da sole e magari una pomata contro le scottature anche se la giornata è nuvolosa.

QUARTA REGOLA: portiamoci sempre da bere, anche se sappiamo che durante il percorso troveremo una fonte.

QUINTA REGOLA: bisogna usare uno zaino comodo ed evitare di caricarlo troppo.

SESTA REGOLA: anche se siamo dei bravi esploratori, informiamoci sul percorso da seguire e, possibilmente, portiamoci sempre dietro una cartina topografica. E’ fondamentale non affrontare percorsi troppo impegnativi se non siamo ben preparati. Inoltre ricordiamoci che molti terreni sono di proprietà privata: cerchiamo di non camminarci sopra.

SETTIMA REGOLA: è meglio, prima di partire, segnalare sempre a qualcuno l’ itinerario che si intende seguire e non cambiare destinazione.

OTTAVA REGOLA : seguiamo i sentieri ed evitiamo di prendere delle scorciatoie. Invece di arrivare prima potremmo arrivare molto lontano da qualche altra parte.

NONA REGOLA: l’ambiente che ci circonda esige rispetto: cerchiamo di non schiamazzare, di non disturbare gli animali e di non raccogliere piante e/o fiori.

DECIMA REGOLA: buona regola è non accendere fuochi se non in caso di necessità.

UNDICESIMA REGOLA: ricordiamoci di portare il telefono cellulare (magari spento...), anche se in molte zone di montagna  non c’è il segnale telefonico.

DODICESIMA REGOLA:  Se non siamo escursionisti esperti forse è meglio non partire da soli.


Relazionalità
(relazione)

Definiamo così la disponibilità, la capacità e la possibilità, per l’uomo, di porsi e mantenersi in relazione con l’ambiente umano e, più in generale con tutto ciò che si configura come “altro de sé”: Una condizione imprescindibile per la sopravvivenza e lo sviluppo sia psichico che fisico.
Una condizione compromessa e minacciata dal disturbo mentale e da tutti i riflessi che esso porta con sé (lo stigma per esempio).
La perdita di relazionalità coincide con la chiusura entro orizzonti esistenziali sempre più angusti fino all’implosione e allo sprofondamento dentro sé stessi.
L’escursionismo, d’altra parte, è relazionalità. Intanto nel senso immediato connesso al fatto che si pratica, tendenzialmente, non in solitudine, ma in compagnia o in gruppo.
Ma anche in un senso più radicale e primario. Il movimento dell’uomo sulla superficie della terra è, esso stesso, un atto di relazione che chiama in causa il rapporto con il luogo e le persone da cui si muove, il rapporto con ciò che si incontra durante il percorso e con la meta.
Il contesto relazionale che prende forma nella pratica escursionistica (vedi anche la voce “Condivisione”) consente vari livelli di relazionalità.
Ad un livello di base si realizza quella che, con Bleger, possiamo definire la “socialità sincretica”; uno stare insieme senza bisogno di parole (pensiamo al camminare lungo un sentiero o ai momenti di riposo, in silenzio, osservando il paesaggio).
A questo riguardo Bleger propone un esempio (J. Bleger 1988, pp. 68-69. Riportato in C. Neri, 1995, Gruppo; Borla, Roma).
“In una stanza c'è una madre che legge, che guarda lo schermo televisivo o che è intenta a cucire. Nella stessa stanza c’è anche il figlio concentrato e isolato nel suo gioco. Se ci riferiamo al livello dell'interazione, non troviamo comunicazione tra queste due persone: non si parlano, non si guardano, ognuno agisce indipendentemente, in modo isolato e noi possiamo dire che non c’è interazione o che non sono in comunicazione. Ma ciò è vero se consideriamo soltanto il livello dell'interazione. Proseguiamo nell'esempio: a un certo momento la madre lascia ciò che sta facendo ed esce dalla stanza; il bambino smette immediatamente di giocare ed esce di corsa per starle vicino. Possiamo quindi capire che quando la madre e il bambino erano intenti ciascuno ad un compito diverso, senza parlarsi o comunicare a livello di interazione, esisteva tuttavia tra loro un legame profondo, pre-verbale che non aveva nemmeno bisogno di parole e che, al contrario, dalle parole sarebbe stato disturbato. In altri termini allorquando non avviene interazione ed essi non si guardano e non si parlano, è presente la socialità sincretica: ciascuno di loro che da un punto di vista naturalistico abbiamo ritenuto isolato, si trova in uno stato di fusione di non distinzione» (1988, pagg. 68-69).

Da questo livello di base si può procedere verso forme di socialità “evoluta”. Il mutuo aiuto, per esempio (vedi voce relativa); la cooperazione; la progettualità condivisa; il riconoscimento e la validazione delle differenze e delle identità soggettive.


Resilienza

Il termine Resilienza origina dal latino: resiliens, genit. resilientis, part. pres. di resilire, e significa:  "saltare indietro, rimbalzare". Sinonimi di resilienza sono elasticità e mobilità. Confucio diceva: "La nostra gloria più grande non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarsi sempre dopo una caduta". In poche parole, la resilienza indica la capacità umana di affrontare, superare ed uscire rinforzati da esperienze negative. La resilienza è, dunque, il processo con cui alcuni individui, famiglie o gruppi, in situazioni di difficoltà, resistono a un evento negativo e mantengono il proprio senso di padronanza. E questo fa subito capire come imparare ad essere resilienti, in questo periodo, sia assolutamente importante. Per questo ci dilungheremo in un'ampia serie di considerazioni.

Resilienza è un concetto che abbraccia vari campi:

In ingegneria, resilienza è un termine che indica la proprietà che alcuni materiali hanno di conservare la propria struttura o di riacquistare la forma originaria dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione. La resilienza, quindi, è la capacità di un materiale di resistere a forze impulsive o ad urti improvvisi, senza spezzarsi.

In informatica, la resilienza è la capacità di un sistema di adattarsi alle condizioni d'uso e di resistere all'usura, e così garantsce la disponibilità dei servizi erogati.

In ecologia e biologia la resilienza è la capacità di un ecosistema, inclusi quelli umani come le città, o di un organismo, di autoripararsi dopo aver subito un danno. 

Per curiosità si segnala che il fenomeno della resilienza esiste anche in odontoiatria protesica, ed  è così spiegato: i tessuti molli non possono essere compressi in maniera non uniforme. Se in un punto della protesi mobile viene esercitata una forza che si distribuisce sui tessuti sottostanti, il sangue e la linfa si spostano verso le zone adiacenti. Se questa situazione non viene riequilibrata sui denti, che sono le "forze" che esercitano tale pressione, la protesi mobile perde aderenza perché i tessuti mucosi vengono modificati creando notevoli problemi di stabilità, con dolore.

Di recente il concetto di resilienza è stato introdotto anche in geriatria: in questo campo si fa riferimento alle capacità che alcuni anziani molto malati, in condizioni apparentemente molto compromesse, mostrano di avere, quando rispondono alle cure tradizionali in maniera ottimale ed anche, a volte, inaspettata. Questa qualità, quindi, si oppone concettualmente alla fragilità degli anziani.

In psicologia la resilienza viene definita come la capacità dell'uomo di resistere, di affrontare e superare le avversità della vita. E' la capacità delle persone di far fronte ad eventi stressanti o traumatici, di riprendersi e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita davanti alle difficoltà. E' il processo, quindi, di riadattamento di fronte ad avversità, traumi, tragedie, minacce, o significative fonti di stress, come possono essere problemi familiari e relazionali, problemi di salute importanti, o precarie situazioni finanziarie e lavorative. La perdita di una persona cara o del lavoro, una malattia o un incidente grave sono esempi di esperienze di vita che possono portare turbamento agli equilibri psicologici di una persona; in coincidenza di questi eventi si possono provare emozioni forti, confusione ed un senso di profonda incertezza. Generalmente, col tempo, le persone trovano il modo di rispondere positivamente e di adattarsi bene a queste situazioni. La resilienza è definibile anche come una somma di abilità, capacità di adattamento attivo e flessibilità necessaria per adottare nuovi comportamenti, una volta che si è capito che i precedenti non funzionano. La resilienza a situazioni avversative appare dipendere da una combinazione, cumulativa e interattiva, di fattori di rischio e fattori protettivi genetici, personali e ambientali. In particolare, tra i fattori protettivi vengono considerati: l’intelligenza, le abilità sociali, l’autostima, l'autocontrollo, l’empatia, la speranza, i legami supportivi, lo stile genitoriale, la salute mentale dei propri familiari, l’ampiezza e la qualità della rete sociale, i legami con adulti significativi e i rapporti positivi con le istituzioni. Il termine resilienza fa riferimento a un processo attivo che si dispiega nella relazione dinamica fra la persona e il contesto (sociale, relazionale, istituzionale) La capacità di resilienza è la semplice abilità di resistere agli eventi avversativi: definisce una dinamica positiva volta al controllo degli eventi e alla ricostruzione di un percorso di vita positivo (Vanistendael & Lecomte, 2000). La resilienza non è mai assoluta, totale, acquisita una volta per tutte, ma varia a seconda delle circostanze, della natura del trauma, del contesto e dello stadio di vita e si può esprimere in modo differente secondo le differenti culture (Manciaux, Vanistendael, Lecomte & Cyrulnik, 2005). Questo significa che uno stesso evento, a seconda del momento in cui avviene, non avrà gli stessi effetti, poiché la persona, a seconda delle circostanze, è differente.

Boris Cyrulnik, neuropsichiatra nato a Bordeaux,  ha dedicato gran parte della sua vita a capire come fanno certi bambini a superare i traumi che hanno subito, come i lutti precoci, l’abbandono, i maltrattamenti, la violenza sessuale, il dolore, la vergogna, la guerra. Come questi bambini, sopravvissuti a tutte queste cose, possono poi diventare degli adulti felici. Dice Cyrulink "… Certo, al momento del trauma, si vede solo la ferita. Sarà possibile parlare di resilienza soltanto molto tempo dopo, quando l’adulto, infine riparato, riconoscerà il trauma infantile subito. Essere resilienti è più che resistere, significa anche imparare a vivere...". Ma questo costa caro. Quando la ferita è aperta, siamo orientati al rifiuto. “... Con il distacco dato dal tempo, l’emozione provocata dal trauma tende a spegnersi lentamente lasciando nei ricordi soltanto la rappresentazione del trauma.”

Esistono almeno quattro livelli di resilienza:

Individuale: la capacità che il singolo ha di sviluppare un processo positivo da un trauma.

Familiare: l'insieme delle caratteristiche, delle dimensioni e delle proprietà che permettono alle famiglie di resistere agli stress nell'affrontare il cambiamenti e di superare le situazioni di vita difficili.

Di Comunità: queste comunità sono "... collettività in grado di sviluppare azioni per rafforzare la competenza individuale e di gruppo alfine di affrontare e gestire il corso di un cambiamento sociale e/o economico" (Castelletti, 2006). Un buon livello di resilienza di comunità è importante per gestire le emergenze e la funzionalità stessa in vista e in preparazione di circostanze critiche.

Culturale: ha diverse dimensioni aspecifiche sia culturali che di contesto, per cui i fattori che compongono la resilienza influenzano diversamente le persone a seconda della cultura e dell'ambiente in cui la persona vive.

Ora, una volta che abbiamo pressappoco capito che cosa è la resilienza, vediamo come possiamo svilupparla. Accrescere la resilienza significa affrontare un percorso personale: ognuno deve trovare la sua strada. Le strade che possono portare le persone ad accrescere il proprio livello di resilienza sono numerose. Nella ricerca della strategia più idonea per migliorare il proprio livello di resilienza può essere d’aiuto puntare l’attenzione su esperienze del passato cercando di individuare le risorse che rappresentano i punti di forza personali.

Creare buoni rapporti e relazioni: avere buoni rapporti con i familiari, gli amici e le persone che ci stanno attorno, i permette di creare una rete di relazioni sociali utile. E' importante avere persone vicine a cui rivolgersi in caso di emergenza. Accettare aiuto e sostegno da chi è interessato a noi e ci ascolta rafforza la resilienza. Questo tipo di relazioni crea, normalmente, un clima di amore e di fiducia, e fornisce incoraggiamento e rassicurazione favorendo l’accrescimento del livello di resilienza. Bisogna assistere gli altri nel momento del bisogno, perché questo può dare beneficio non solo a chi viene aiutato, ma anche a chi aiuta. Dobbiamo imparare, quindi, ad avere buone ed adeguate capacità comunicative.

Evitare di vedere le crisi come problemi insormontabili: bisogna avere un pensiero ottimista e positivo. Questo significa vedere i problemi, le crisi, come transitori, specifici di una certa area e percorso della vita, e superabili. Non esiste un modo assoluto o unico per evitare gli stress della vita... a tutti prima o poi "ce può tocca..." , per cui è meglio avere una modalità di pensiero positiva. Non si può cambiare il fatto che eventi altamente stressanti succedano, ma si può cambiare come interpretarli  e rispondere agli stessi. Proviamo a guardare oltre il presente, e a come le circostanze future possono essere migliori. Poniamo attenzione alle piccole possibilità di stare un po’ meglio quando si ha a che fare con situazioni difficili. Utilizziamo il nostro potere di fantasia, la nostra creatività.

Accettare il fatto che il cambiamento è parte della vita: "Panta rei os potamòs", fa che tutto scorra. La realtà è in continuo cambiamento e anche noi cambiamo in ogni istante. Accettare, prepararsi  addestrarsi al cambiamento sono virtù per essere più flessibili nella vita. Può essere che certi obiettivi possano non essere più conseguibili per effetto di circostanze contrarie, ma accettare le situazioni che non possono essere modificate può comunque aiutarci a focalizzarci su quelle che, invece, possiamo cambiare.

Andare verso i propri obiettivi. Bisogna porsi traguardi ed obiettivi realistici, pianificare dei passi graduali. Facciamo qualcosa di molto semplice e regolare, anche se sembra qualcosa di povero, una realizzazione piccola, qualcosa che permetta di muoverci verso i nostri obiettivi. Invece di focalizzarci su ciò che sembra irrealizzabile, domandiamoci se c'è qualcosa che  possiamo compiere oggi che ci aiuti a muoverci nella direzione in cui vogliamo andare.

Compiere azioni decise. Nelle situazioni avverse, per quanto possiamo, agiamo, muoviamoci. Compiamo azioni decise, senza staccarci completamente dai problemi e dalle fonti di stress, e senza desiderare che scompaiano e basta. Troppe persone non si rendono conto, mentre lo fanno, che stanno decidendo, in ogni istante della loro vita e che, il loro futuro dipende da queste piccole decisioni.

Cercare opportunità per imparare. Le persone spesso imparano qualcosa su loro stesse focalizzando l'attenzione su esperienze del passato, e osservando come, per certi aspetti, nella lotta con le avversità sono cresciute. Molte persone che hanno avuto esperienze tragiche e perdite, hanno poi avuto miglioramenti nelle relazioni, un più ampio senso di forza personale anche in momenti di vulnerabilità, un incremento di autostima, una più sviluppata spiritualità, e un maggiore apprezzamento per la vita. Ogni tanto fermiamoci e proviamo a rispondere ad alcune domande:

  • quali eventi sono risultati particolarmente stressanti per me e in che maniera questi eventi mi hanno condizionato?
  • nei momenti difficili ho trovato utile rivolgermi a persone per me significative?
  • nei momenti difficili quanto ho appreso di me stesso e del mio modo d’interagire con gli altri?
  • è risultato utile per me fornire assistenza a qualcuno che stava attraversando momenti difficili come quelli da me sperimentati?
  • sono stato capace di superare le difficoltà ed, eventualmente, in che modo?
  • che cosa mi ha consentito di guardare con maggiore fiducia al mio futuro?

Cercare di avere una visione positiva di sé stesso. Accrescere la fiducia nella capacità di risolvere problemi e fidarsi dell’aiuto del proprio istinto sviluppa resilienza. E' necessaria anche una buona consapevolezza sia delle abilità possedute che del proprio carattere.

Mantenere le cose in prospettiva. Anche quando si fa fronte a eventi molto dolorosi, bisogna provare a considerare le situazioni stressanti in un più ampio contesto e mantenere una prospettiva di lungo periodo. Bisogna anche evitare di gonfiare oltre ogni misura gli eventi e dare loro la giusta prospettiva.

Mantenere una visione fiduciosa. Una visione ottimistica ci permette di aspettare che nella nostra vita possano succedere cose buone. Proviamo a visualizzare quello che vogliamo, senza preoccuparci di quello di cui abbiamo paura, o timore. Bisogna sempre avere la speranza che le cose potranno cambiare, e cambieranno.

Prendiamoci cura di noi stessi. Dobbiamo essere attenti ai nostri bisogni e ai nostri sentimenti. Impegniamoci in attività che ci piacciono e che troviamo rilassanti. Esercitiamoci regolarmente. Prenderci cura di noi aiuta a mantenere la mente e il corpo pronti per affrontare le situazioni che richiedono resilienza.

Buone capacità di controllare gli impulsi e le emozioni aiutano moltissimo lo sviluppo di un buon grado di resilienza. Volendo, anche la meditazione e le pratiche spirituali aiutano alcune persone a sviluppare un senso di connessione con sé stessi e con il mondo circostante, e a riacquistare speranza.

Le persone con un alto livello di resilienza riescono a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti. L’esposizione alle avversità sembra rafforzarle piuttosto che indebolirle. L'atteggiamento resiliente è dinamico. Quelle persone appaiono tendenzialmente ottimiste, flessibili e creative; sanno lavorare in gruppo e fanno facilmente tesoro delle proprie e delle altrui esperienze.

Un altro punto importante, che è emerso ultimamente nella discussione all'interno del 19° Seminario Esperienziale di Montagnaterapia è quello esplicitato da un nostro paziente, Massimo S., il quale ha avvertito come sviluppare resilienza possa portare ad un crescita personale e verso un grado di sempre maggiore capacità di autonomia personale. Ma questo discorso lo potremo sviluppare in un altro momento.

Bisogna anche concepire la resilienza come una funzione psichica dinamica che si modifica nel tempo in rapporto all'esperienza, ai vissuti e, soprattutto, al modificarsi dei meccanismi mentali che la sottendono e la sostengono.

Secondo Susanna Kobasa, una psicologa dell’università di Chicago, le persone che meglio riescono a fronteggiare le contrarietà della vita mostrano contemporaneamente quelli che potremmo definire come tre tratti di personalità:

  • l’impegno;
  • il controllo;
  • il gusto per le sfide.

Per impegno s’intende la tendenza a lasciarsi coinvolgere nelle attività: la persona con questo tratto si dà da fare, è attiva, non è spaventata dalla fatica, non abbandona facilmente il campo. E' attenta e vigile, ma non ansiosa. Valuta le difficoltà realisticamente. Perché ci sia impegno è necessario avere degli obiettivi, qualcosa da raggiungere, qualcosa per cui lottare e in cui credere.

Per controllo s’intende la convinzione di poter dominare e condurre ciò che si fa o le iniziative che si prendono: è la convinzione di non essere in balia degli eventi e delle cose. La persona con questo tratto per riuscire a dominare le diverse situazioni della vita è pronta a modificare anche radicalmente la strategia da adottare, per esempio, in alcuni casi intervenendo con grande tempestività, in altri casi indietreggiando, prendendo tempo, aspettando.

L’espressione gusto per le sfide fa riferimento alla disposizione ad accettare i cambiamenti. La persona con questo tratto vede gli aspetti positivi delle trasformazioni e minimizza quelli negativi. Il cambiamento viene vissuto più come incentivo a crescere che come difficoltà da evitare a tutti i costi, e le sfide vengono considerate stimolanti piuttosto che minacciose. La persona generalmente è aperta e flessibile.

Impegno, controllo e gusto per le sfide sono tratti di personalità di cui si può avere consapevolezza e perciò possono essere coltivati e incoraggiati.

Teniamo presente questi tre concetti, che non hanno bisogno di spiegazione:

  • La resilienza non è una caratteristica che è presente o assente in un individuo; essa presuppone invece comportamenti, pensieri ed azioni che possono essere appresi da chiunque.
  • Avere un alto livello di resilienza non significa non sperimentare affatto le difficoltà o gli stress della vita. Inoltre le ferite, se ci sono, lì rimarranno.
  • Avere un alto livello di resilienza non significa essere infallibili, ma significa essere disposti al cambiamento quando è necessario. E significa anche  essere disposti a pensare che possiamo sbagliare, ma anche che siamo sempre in tempo a  correggere la rotta.

Infine ci sono da tener presenti alcune riflessioni della dott.ssa Maria Belèn Rath, di Trento:

La resilienza è

la capacità umana di affrontare, superare e uscire più forti o trasformati dalle esperienze avverse

La resilienza non è
una caratteristica di personalità
legata al livello socioeconomico della persona
collegata all’intelligenza della persona
un meccanismo di difesa psicologico

La resilienza suppone
l’idea di avversità, trauma, rischio o minacce allo sviluppo dell’essere umano
l’adattamento positivo o il superamento dell’avversità
il rapporto tra meccanismi emozionali, cognitivi e socioculturali (e ambientali, N.D.T.) che influiscono in tutti gli esseri umani

Fattori di resilienza sono
“Io ho” …
“persone del mio ambiente che mi ispirano fiducia e che mi amano”,
“persone che mi mostrano i limiti per farmi imparare a evitare pericoli e problemi”,
“persone che mi danno un esempio di condotta corretta”,
“persone che mi insegnano a arrangiarmi da solo”,
“persone che mi aiutano quando sono ammalato o quando ho bisogno di imparare”.
“io sono” …
“una persona amata e benvoluta”,
“felice quando faccio qualcosa di buono per gli altri”,
“rispettoso di me stesso e degli altri”,
“disposto a prendermi le mie responsabilità”,
“sicuro che tutto andrà bene”.
“io posso” …
“parlare delle cose che mi fanno paura”,
“cercare e trovare il modo di risolvere i problemi”,
“controllarmi quando ho voglia di fare qualcosa di pericoloso o che non va bene”,
“cercare il momento giusto per parlare con qualcuno o per agire”,
“trovare qualcuno che mi aiuti quando ne ho bisogno”.


Responsabilità


....La responsabilità è un dovere umano tipico dei nostri tempi. Un po' richiama l'insegnamento cristiano, "...ama il prossimo tuo come te stesso...", e un po’ l’insegnamento di Immanuel Kant, "...considera sempre l'uomo non come mezzo ma come fine...". Questi principi sono sicuramente validi ancora oggi. La differenza è che noi dobbiamo riflettere non più in termini di "prossimo" o di singoli esseri umani, ma nei termini dell'impatto che hanno le conoscenze e le applicazioni della tecnica nello spazio e nel tempo vicini a noi .... (G. Berlinguer)

Il termine responsabilità deriva dal latino respònsus, participio passato del verbo respòndere, rispondere. E  cioè, in un significato "filosofico" generale, impegnarsi a rispondere a qualcuno o a se stessi delle proprie azioni, di quello che pensiamo, di come agiamo, e delle conseguenze che ne derivano.

La responsabilità, quindi, può essere definita come la possibilità-capacità di prevedere le conseguenze dei propri comportamenti, delle proprie azioni e delle proprie decisioni, e correggere gli stessi sulla base di tale previsione.

Nel nostro campo si può anche parlare di responsabilità morale in relazione ad un dovere morale (o etico), in riferimento ad una norma morale. Non essere in grado di mantenere questa responsabilità può dare luogo ad una sanzione sociale, anche molto pesante: si pensi per esempio alla possibilità di essere emarginati dalla comunità di appartenenza.

Ma la responsabilità abbraccia svariati campi, che vanno dal politico, all'etico, al morale, al sociale, all'ecologia, alla salvaguardia della salute...

E' importante considerare il fatto che l'etica della responsabilità può estesa (Hans Jonas) nel tempo e nello spazio, nel senso che le nostre azioni vanno valutate per le conseguenze non solo nei confronti dei contemporanei e della società attuale, ma anche di coloro che oggi non sono ancora nati, non sono ancora su questa terra, e verso l'intera biosfera, che dobbiamo tutelare dalle nostre compromissioni.

Dobbiamo, tuttavia pensare che non ci può essere una sola persona responsabile ed una sola responsabilità, e cioè quella del leader. Infatti questa deve essere esplicitata anche in coloro che praticano l'esperienza di montagna (trasgressione del praticante), per esempio persone che si allontanano dal gruppo, o che si attardano troppo o che per provare le proprie capacità si infilano in qualcosa di particolarmente pericoloso, senza ascoltare le raccomandazioni del capo-gruppo, o del titolare di posizione di garanzia.


Riabilitazione Psicosociale

Insieme di interventi terapeutici che hanno lo scopo di promuovere un cambiamento personale, sociale e professionale di soggetti affetti da problemi derivanti da disabilità psicosociali e di migliorare la qualità della vita degli stessi e delle loro famiglie.
Vorremmo pensare alla Riabilitazione Psicosociale come intervento multidisciplinare precoce:
affinché soprattutto i pazienti giovani possano rientrare“rapidamente” nel loro mondo di vita quotidiano.
L’esperienza riabilitativa di restituzione deve avvenire attraverso progetti e interventi precoci ed integrati, in cui la rete sociale abbia una parte importante e fondamentale accanto alla terapia farmacologica, all’intervento sulle famiglie e allo sviluppo della consapevolezza che è possibile ritornare ad una vita normale.

NOTA: definizione di OPERATORE DELLA RIABILITAZIONE

Operatori delle professioni socio-sanitarie che svolgono, nei confronti dei singoli individui e della collettività, attività di prevenzione, cura e riabilitazione, e procedure di valutazione, all’interno delle competenze proprie previste dai relativi profili professionali.
Queste attività vengono svolte in strutture e/o in servizi socio-sanitari pubblici e/o privati.
In particolare l’operatore della riabilitazione, nell’ambito di progetti terapeutici elaborati in un’ equipe multidisciplinare (o transdisciplinare), svolge interventi riabilitativi educativi e di integrazione-inclusione sociale nei confronti di soggetti con disabilità.
Attribuzioni e aree specifiche di intervento dell’operatore della riabilitazione sono:
• La valutazione delle arre di disabilità, di funzionalità, e delle potenzialità del soggetto
• L’analisi dei bisogni, delle istanze evolutive e delle risorse del contesto familiare e socio-ambientale
• L’identificazione degli obiettivi e, quindi, formulazione di progetti per il recupero e lo sviluppo del soggetto con problemi derivanti da disabilità, attraverso interventi di crescente complessità che vanno dalla cura di sé allo sviluppo di relazioni interpersonali valide, dall’autonomia personale all’inserimento lavorativo (interventi sul soggetto, sulla sua famiglia e sul suo ambiente di vita comunitario)
• La promozione della prevenzione primaria sul territorio attraverso l’attuazione di una rete relazionale-sociale, programmi di educazione socio-sanitaria di base e sviluppo di pratiche di self-help
• La valutazione degli esiti dei progetti in relazione agli obiettivi prefissati


Ricordo

In neuroscenza e in psicologia la memoria è la capacità del cervello di conservare informazioni.
E’ il segno lasciato da un evento, la memoria di persone o di cose che rimane impressa nella nostra mente. E’ il tramandare nel tempo, ma anche il riportare in una dimensione di attualità un tempo anche molto lontano, luoghi, persone, affetti, situazioni di vita. E’ tutto quello che non viene dimenticato e che fa parte della nostra vita sociale ed affettiva.


Rifugio

Un rifugio è un edificio collocato in località montane, in genere lontano dai centri abitati, destinato a ospitare gli escursionisti che frequentano la montagna. Dispone di solito di: bagno, cucina, stanze da letto, sale da pranzo. I rifugi nascono per aiutare i viandanti che in passato attraversavano le montagne  e avevano bisogno di luoghi ove trascorrere la notte o rifugiarsi in caso di condizioni meteorologiche avverse.

Questa funzione del rifugio-rifugiarsi è estremamente importante: il rifugio dà riparo, calore, sicurezza. Nel rifugio io mi sento protetto, il freddo delle intemperie e il buio della notte non mi fanno paura. Nel rifugio sono al caldo, come in grembo ad una madre. Nel rifugio sono dentro; il rifugio mi accoglie, mi avvolge, mi fa stare bene. Posso riconoscere il mio dentro; calmarmi, essere tranquillo, sentire la mia voce insieme a quella degli altri miei compagni.

Negli ultimi decenni con lo sviluppo del turismo di montagna i rifugi sono diventati piccoli alberghi che, pur offrendo in molti casi solo servizi essenziali, ospitano anche turisti che vogliono consumare un pasto durante una breve gita in montagna o durante una giornata passata sugli sci. Il rifugio si può anche indicare come "capanna": in genere si tratta di strutture simili ad alberghi, spesso con un custode che fornisce anche dei pasti; mentre, con il termine "rifugio", si intendono strutture più spartane, normalmente più piccole, che comunque offrono all'escursionista un tetto per ripararsi dalle intemperie, una cucina e un giaciglio al coperto.

Possiamo pensare ai grandi rifugi, quasi alberghi, affollati da schiere colorate di alpinisti ed escursionisti; ma forse il significato di questo particolare “luogo” della montagna è restituito meglio dall’immagine di tanti piccoli rifugi, rappresentanti, spesso minuscoli e sperduti, della presenza e delle attività umane nel mondo altro della montagna. Quasi ricordo di una quotidianità che ci appare ora – immersi nell’ambiente montano – remoto e irraggiungibile.

Il rifugio consente di ritrovare qualcosa della vita quotidiana in un mondo severo che ci mette alla prova. Il rifugio dà riparo, calore, sicurezza. Nel rifugio io mi sento protetto, il freddo delle intemperie e il buio della notte non mi fanno paura. Nel rifugio sono al caldo, come in grembo ad una madre. Nel rifugio sono dentro; il rifugio mi accoglie, mi avvolge, mi fa stare bene. Posso riconoscere il mio dentro; calmarmi, essere tranquillo, sentire la mia voce insieme a quella degli altri miei compagni.

Francesco Tomatis (“La montagna come rifugio”; La Rivista del Club Alpino Italiano, marzo – aprile 2006 ) osserva che l’etimo latino “rifugio, da “fugio” allude ad un rifugiarsi conseguente ad un rifuggire, uno sfuggire attivamente qualcosa che si teme come nemico. Nell’accezione a cui siamo più soliti il nemico è costituito dalle avversità naturali, dalla severità dell’ambiente (il buio, il freddo..) propri della montagna. Ma il rifugio non è solo protezione dalla montagna potenzialmente nemica, è anche luogo e parte della  montagna ed è la montagna stessa – ci fa notare Tomatis – che nella storia si è spesso costituita come rifugio per l’uomo in fuga dai mali del mondo. E così diversi ordini monastici vi hanno trovato la possibilità di costruirvi uno spazio vitale e contemplativo; e così popolazioni fuggite da condizioni di oppressione o di miseria vi hanno trovato possibilità di sopravvivenza e di crescita; e così le montagne sono forse oggi per molti “…rifugio dalle civiltà bellicose, dagli eccessi di egoismo e di tecnologia, dai progetti umani incapaci di umanità…in quanto ogni aspetto dell’esistenza umana e naturale insieme, in montagna, può trovare luogo per metter radice, crescere, fiorire…Le montagne stesse sono rifugio, perché non solo osservatorio privilegiato o laboratorio sperimentale, ma spazio di preservazione attiva di forme di vita e dell’esistenza in genere nelle possibilità ad essa più proprie e ancora aperte ad un salvo avvenire”.