Victor Sanchez
Usi speciali dell'attenzione (da" Gli insegnamenti di Don Carlos")
Edizioni Il Punto d'Incontro, 1995 (pag. 144 -155)

Uno dei fattori che nutrono il dialogo interno è che manteniamo la nostra attenzione su di esso, cosa che l'uomo comune fa tutto il tempo. Poiché la voce del dialogo interno è la voce dell'ego, possiamo dire che si tratta della tendenza ossessiva dell'ego a focalizzarsi su se stesso
Perciò qualunque tecnica volta a deviare la nostra attenzione da questa fabbrica di parole interiore, se continuata per un tempo sufficiente, tende a sospendere il dialogo. Ovvero, se non le si presta attenzione, la mente si azzittisce. La ridirezione dell'attenzione è l'elemento chiave di quasi tutti gli esercizi per fermare il dialogo interno.
Usando questa informazione come base, ognuno può inventarsi da solo i suoi esercizi. Ciò nonostante, ne descrivo qui alcuni che sono risultati utili nella pratica.

1. La camminata dell'attenzione
Il camminare è di per sé un buon esercizio, che oltre a contribuire a un buono stato di salute generale, è estremamente adatto ad accogliere gli elementi che fanno di una semplice camminata una camminata di attenzione.
Benché praticamente chiunque sia capace di camminare, la realtà è che - per l'uomo moderno - camminare nel modo giusto richiede uno speciale apprendistato, i cui risultati tendono ad essere anch'essi speciali.
Rispetto al camminare in genere, i maestri sono naturalmente coloro che per secoli hanno camminato sulla superficie di un essere che amano, percorrendone instancabilmente i sentieri: gli indios. E' per questo che molti elementi del modo giusto di camminare ci vengono direttamente da loro.
La camminata di attenzione è uno degli esercizi migliori per fermare il dialogo interno. Basta praticarla con continuità e inevitabilmente ci porta al silenzio. Prima di descrivere alcune delle sue molte varianti desidero indicarne gli elementi principali:

• L'attenzione non va focalizzata sui pensieri, ma sulla camminata e gli elementi che la rendono una camminata d'attenzione.
• Camminare in assoluto silenzio. Se è necessario parlare, sarà meglio fermarsi un attimo.
• Non prestare attenzione ai pensieri e neppure combatterli, ma lasciarli scorrere come se fossero un suono qualunque.
• Nella camminata non importa la velocità, ma deve esistere un ritmo.
• Il ritmo della camminata va sincronizzato con la respirazione.
• Focalizzare l'attenzione sul respiro.
• Prestare attenzione all'ambiente circostante e a ciò che ci fa sentire (mentre bisogna ignorare ciò che pensiamo di esso).
• Prestare attenzione a ciò che sente il nostro corpo, in particolare alle sensazioni dell'area addominale.
• Focalizzare l'attenzione sui suoni.
• Camminare con le mani libere. Se c'è bisogno di trasportare qualcosa, utilizzare uno zaino.
• Il tempo minimo della camminata è quello sufficiente per raggiungere uno stato di attenzione speciale; una volta raggiunto non esiste tempo massimo.

Commenti alla tecnica
Gli elementi in corsivo sono indispensabili e gli altri possono essere inclusi alternativamente, selezionandoli tutti o in parte. Eseguire una camminata di attenzione mantenendo scrupolosamente tutti gli elementi può richiedere un certo periodo di pratica. Quando ci si riesce, si può dire che il praticante "sa camminare". Gli elementi della camminata di attenzione "di base" si applicano anche alle sue varianti
Uno dei risultati più sorprendenti della camminata di attenzione - includendo le varianti - è il verificarsi di stati di coscienza particolari, come il cosiddetto Stato di Consapevolezza Intensificata, che può avere diversi livelli. Più la camminata è attenta e prolungata, più profondo sarà il livello di coscienza intensa. Anche la pratica influisce sulla profondità che si può raggiungere. Tutto questo permette di ottenere stati di percezione e di sensibilità non ordinari, in cui la possibilità della conoscenza silenziosa diventa qualcosa di plausibile.

2. Camminare in fila indiana
La fila indiana è una variante della camminata di attenzione destinata a essere praticata da più persone. Si chiama così perché gli indigeni di molte parti del mondo - che sanno parecchie cose sia sul camminare che sull'attenzione - camminano in questo modo. Io personalmente ho imparato da loro. Questa è una delle mie tecniche preferite, non solo per i molti momenti magici che mi ha permesso di vivere, ma anche perché rende possibile unire l'energia e l'attenzione dei partecipanti, producendo un risultato totale maggiore della semplice somma delle parti. Normalmente questa è la maniera migliore di camminare in gruppo, specialmente in posti disabitati ed è indispensabile se il terreno è poco familiare. Garantisce inoltre il giusto stato di vigilanza. La camminata ha particolari implicazioni tra gli indios e ci sono delle differenze basilari con il camminare degli occidentali. Come occidentali, tendiamo a pensare che lo spostamento possieda due punti principali: l'inizio e la fine. Così un viaggio qualunque, sia a piedi che su un veicolo, diventa privo di interesse nei tratti intermedi. Quello che conta è arrivare, quanto prima tanto meglio.
Camminare serve solo per arrivare è quindi, lungo l'itinerario, la caratteristica predominante sarà l'ansia di arrivare. Oppure, al contrario, l'ansia per ciò che si è lasciato indietro. Il fatto è che l'uomo moderno ha una seria difficoltà a collocarsi dove realmente si trova: qui e ora. Così in occidente la camminata, nella misura in cui è solo un mezzo per raggiungere un posto, è di solito faticosa e si desidera che termini al più presto possibile.
Ma la fatica dipende più dall'energia sprecata che dall'energia necessaria per camminare. Sprechiamo energia soprattutto concentrandoci sui nostri pensieri invece che sull' azione reale del nostro corpo. Camminare in modo disattento non solo stanca, ma è anche pericoloso. Per questo la maggior parte delle persone hanno paura di camminare in posti che non conoscono, di camminare di notte, o semplicemente di camminare in generale.
E' tipico, quando si cammina, pensare a ciò che abbiamo lasciato indietro (il passato), o a ciò che supponiamo ci aspetti (il futuro), ma difficilmente riusciamo a situarci nella realtà (il presente). L'indio al contrario, dopo secoli di viaggi a piedi, sa che una camminata è - oltre che un mezzo per arrivare da qualche parte - il mezzo per essere dove si è. Sa che è possibile e benefico camminare per camminare, per il puro godimento di muoversi. Se si dirige in qualche posto in particolare, sa che una camminata, per lunga che sia, è fatta di un passo alla volta. Si colloca nel presente e non si occupa del futuro, eccetto che per progettare una strategia. Ma una volta che l'ha decisa, si dimentica del futuro fino a quando questo non diventa a sua volta presente. E' per questo che l'indio, quando cammina, non guarda in avanti, o verso la cima della montagna che sta salendo, ma guarda la terra sotto i suoi piedi.
Se vuole ammirare il paesaggio, si ferma e lo ammira, per poi continuare a camminare. La camminata dell'indio è una camminata del qui e ora e non del prima e dopo.
Questo atteggiamento si riflette negli elementi della camminata in fila indiana, che sono:

• Una guida, che può essere il leader del gruppo, il coordinatore, o qualsiasi partecipante che conosca bene il sentiero, oppure che sia in grado di assumersi la responsabilità di guidare il gruppo per la via migliore, a seconda delle condizioni in cui si realizza la camminata.
• Camminare in una sola fila, cioè uno dietro l'altro. Ogni partecipante, a eccezione di chi apre la fila, si mantiene per tutta la camminata dietro quello che lo precede.
• La distanza tra i partecipanti deve essere costante. Un braccio di distanza può essere ottimale. E fondamentale che ognuno mantenga strettamente la distanza, senza aumentarla né diminuirla, malgrado le variazioni del terreno.
• Lo sguardo si mantiene fisso a terra sul passo che si sta facendo, senza guardarsi davanti o di fianco. Si può delegare a chi apre la fila la responsabilità di scegliere il cammino, senza bisogno di guardare in avanti. Di fatto la vista è solo un referente secondario, giacché percepiamo con tutto il corpo
• Si cercherà di trovare un ritmo di gruppo, che può essere condiviso attraverso la cadenza, suoni sincronizzati sui passi o con il respiro.
• Si eviterà di pensare al punto di partenza o di arrivo e di guardare in avanti per "vedere quanto manca".
• Minimo due persone.

Commenti alla tecnica
Uno dei punti chiave di questa camminata è il mantenere un senso di unità che permetta di collegare l'attenzione e l'energia di tutti i partecipanti. Esistono due elementi principali per ottenere questo collegamento: mantenere scrupolosamente la distanza dalla persona che ci precede e adeguarsi - tutto il gruppo - a uno stesso ritmo. Se uno dei partecipanti non mantiene la distanza, è distratto e fuori ritmo, la catena si rompe e gli altri non potranno approfittare dei benefici addizionali della camminata in gruppo.

3. Seguire l'orma
E' una camminata in fila indiana in cui ognuno, eccetto chi apre la fila, deve mettere i piedi esattamente dove li aveva messi chi lo precede. Cioè i piedi di tutti si devono sollevare con sincronismo esatto. Tutti muovono allo stesso tempo il piede sinistro, tutti muovono allo stesso tempo il piede destro e così via. Ogni piede cade sull'orma (anche se non è visibile) del compagno davanti. Bisogna cercare di "visualizzare" l'orma e di calpestarla.

Commenti alla tecnica
E' fondamentale in questo caso essere scrupolosi nel calpestare l'orma e nel mantenere la sincronia del passo, malgrado possibili cambiamenti di velocità o fermate improvvise a causa di variazioni del terreno. Se si è concentrati, si possono anticipare sensibilmente le variazioni. Si raccomanda di praticarla per periodi minimi di un'ora, senza limiti in quanto al tempo massimo. Se si seguono le istruzioni, si tende a produrre una specie di "bolla di attenzione" che avvolge tutto il gruppo. Nella misura in cui si sviluppa la coscienza di essere parte di un corpo collettivo, si perde in qualche modo il senso di essere un ego individuale. La magia di questa esperienza permette di camminare per ore e ore senza provare stanchezza e alla fine ci si sente pieni di energia, completi e rinnovati.

4. Camminata di ombre
Sebbene questo esercizio sia molto semplice può provocare intensi stati di consapevolezza intensificata. Questa variante è anche conosciuta come "camminare con le orecchie". Consiste in una camminata di attenzione di solito molto lenta, il cui elemento centrale è rappresentato dal cercare di spostarsi come un'ombra, in assoluto silenzio, riducendo i suoni prodotti dall'atto di camminare fino a eliminarli quasi del tutto. Nessuno deve sentire i nostri passi o la nostra respirazione, neppure noi stessi. Dobbiamo essere silenziosi come un'ombra che si sposta. Ciò che guida lo spostamento è il lavoro dell'orecchio. Dobbiamo concentrarci a tal punto sui suoni - per evitarli - che l'udito diventa il punto chiave della nostra percezione. Ovviamente in questa maniera di camminare eviteremo di pestare ciò che fa rumore, preferiremo sollevare una gamba piuttosto che spingere un ramo, gireremo intorno alle cose invece di spostarle o calpestarle, cercando sempre il posto più silenzioso per poggiarvi i piedi.

5. Modo di camminare secondo Don Juan

1. Adottare una qualche posizione speciale per le mani, come curvare le dita, separare il medio e l'anulare, o qualunque altra.
Suggerisco che il partecipante sperimenti varie posizioni, fino a trovare quella che più gli sia consona.
2. Mantenere una visione periferica di 180 gradi, cercando di guardare tutto simultaneamente ed evitando di mettere a fuoco un punto in particolare. Gli occhi sono rivolti in avanti, verso un punto appena al di sopra dell'orizzonte.

Esistono molti altri tipi di camminata di attenzione, tutti utili per la cessazione del dialogo interno, ma in generale si tratta di varianti della forma di base, per cui credo che quelle citate siano sufficienti. Adesso spiegherò la tecnica della Marcia di Potere, ma prima desidero ripetere che le camminate di attenzione in generale e la marcia di potere in particolare, sono esercizi che possono essere collocati nella stessa area degli esercizi "di attenzione".

6. L'andatura del potere
Questa tecnica può essere eseguita solo in uno stato di silenzio interiore e comporta l'emergere di alcuni lati della natura "nagual" del partecipante, in modo parziale se si tratta di un principiante, o in modo totale se invece è un maestro consumato. La pratica e l'energia disponibile sono di nuovo gli elementi chiave.
Poiché è una delle tecniche che ci ha dato i risultati più sorprendenti e poiché praticarla implica la partecipazione della consapevolezza dell'altro io, per presentarla non basta descrivere semplicemente il procedimento, che d'altro canto non è tanto semplice.
La marcia di potere consiste, in termini generali, nella possibilità di spostarsi a gran velocità, utilizzando un'energia inusuale, senza dipendere dai sensi nel modo ordinario e senza che sia necessaria una conoscenza previa del terreno, anche in completa oscurità. E' come un modo particolare di correre o di trottare. Si può praticare su qualunque tipo di terreno, ma è meglio scegliere posti che a causa della ripidezza, dell'irregolarità del suolo, della presenza di pietre malferme, o per il fatto di trovarcisi di notte, siano difficili da percorrere in condizioni normali, anche camminando. E' importante ribadire che la marcia di potere non è un esercizio normale, come una pratica sportiva. In realtà non è alla portata di chiunque e per realizzarla non basta conoscere il procedimento. Dato che si tratta di qualcosa di insolito, che il corpo esegue senza l'intervento del centro intellettuale, la riuscita dipenderà principalmente dalla quantità di energia disponibile e dalla capacità del praticante di farla lavorare in modi insoliti. Ciò nonostante la includo qui perché questo libro è diretto a gente che si trova a diversi livelli di energia e di lavoro. Sebbene la capacità di realizzare la marcia di potere si possa avere semplicemente per aver praticato altre tecniche meno complesse, esistono esercizi che permettono al praticante di avvicinarsi ad essa poco alla volta, come degli indicatori che lo aiutano a capire se è pronto oppure no. La marcia di potere appartiene alle possibilità sconosciute del corpo e in realtà in fondo tutti sappiamo come eseguirla. O meglio, lo sa il nostro corpo. La gente comune però si trova talmente scollegata da ciò che il corpo sa, a causa dell'abitudine di prestare attenzione solo all'ego - per mezzo del dialogo interno - che risulta molto difficile recuperare questa conoscenza. In alcune occasioni, persone che si trovavano in pericolo di morte, o in qualche altra situazione limite, si sono salvate correndo in completa oscurità, o su terreni ripidi e con precipizi, senza aver mai sentito parlare della marcia di potere e senza conoscere alcun procedimento specifico. In questi casi generalmente si parla di miracoli, o di qualche tipo di intervento divino, cercando così di spiegare i portenti che possono verificarsi quando il corpo prende in mano le redini.
Possiamo comunque far pratica in modo relativamente sistematico, per aiutare il corpo a ricordare la marcia di potere. Esistono appositi procedimenti per questo, la cui funzione termina quando il corpo si sveglia e la marcia di potere si realizza. A partire da tale momento, è il corpo che comanda. La ragione e l'ego, con i loro desideri e le loro spiegazioni, semplicemente non sono invitati a partecipare. Ecco uno dei sistemi:

1. Si inizia correndo su un terreno pianeggiante, di giorno. Nella corsa bisogna cercare di sollevare le ginocchia il più possibile, fino a sentire che il corpo può muoversi in questa maniera naturalmente, senza forzarlo. In qualche modo si deve cercare un punto intermedio tra la tensione e la scioltezza: i muscoli devono scaldarsi poco alla volta, fino a raggiungere una flessibilità per così dire "tesa", che non sconfini nel rilassamento. Così se incontriamo ostacoli, come ad esempio piccole rocce, non saremo tanto rigidi da danneggiare le articolazioni, né tanto flaccidi da procurarci una lussazione. Si tratta di raggiungere uno stato d'animo molto particolare, che potremmo definire di "tensione rilassata", in cui ci si sente ben svegli, attenti e attivi, ma con un sentimento interno di sobrietà e controllo. Si raccomanda di praticare questo primo passo per periodi di almeno un'ora.
2. Man mano che il corpo assimila quanto descritto nel paragrafo precedente, possiamo praticare in condizioni più severe, come per esempio un terreno piano ma irregolare, una pietraia o il letto secco di un fiume. Possiamo inoltre aumentare gradualmente la velocità della marcia. L'importante è che nel farlo ci sentiamo naturali e sicuri, perché altrimenti potremmo farci male. Bisogna notare come le gambe possono regolare naturalmente la loro flessibilità quando poggiano su rocce, tronchi o altri ostacoli. Poco alla volta si deve cercare di sentire il terreno con il corpo, evitando di guardare ossessivamente il suolo per vedere dove si mettono i piedi. Lo sguardo dev'essere rilassato e diretto verso l'area di terreno di fronte a noi, ma senza mettere a fuoco nessun punto specifico. Mentre in una marcia normale su terreno irregolare le decisioni rispetto a dove e come poggiare i piedi dipendono dal rapporto vista-cervello-gambe, nella marcia di potere esse si realizzano a partire dalla relazione corpo-mondo. O, in modo più preciso, dalla relazione tra "energia di dentro" ed "energia di fuori". Quando riusciremo a spostarci a gran velocità sul tipo di terreno che ho appena descritto, spazzando appena il suolo con lo sguardo e mantenendo il ritmo e l'equilibrio senza restare esausti, cadere o farci del male, saremo pronti per la fase successiva.
3. A questo punto potremo praticare la marcia su terreni con pendenze dapprima dolci, poi sempre più pronunciate. Aumentando la sicurezza, potremo cominciare a cercare pendenze ripide e irregolari. Inizialmente possiamo scendere lungo dei sentieri, poi, poco alla volta, su terreni aperti. E' importante ricordare che questi risultati non si possono raggiungere in un solo giorno, ma solo con una pratica costante. Il tempo che ci vorrà dipende dalle condizioni del praticante. Non c'è limite a ciò che si può realizzare con la marcia di potere, né alle trasformazioni che possiamo sperimentare realizzandola. Lavorando su questi tipi di terreno, è molto importante non perdere il controllo. Non ha senso raggiungere una grande velocità se facendolo perdiamo ritmo e sicurezza, perché in tal caso cadremmo nel campo dell'ordinario e potremmo farci del male.
4. Nella quarta fase bisogna praticare tutti gli esercizi finora descritti, ma cambiando deliberatamente la velocità a seconda delle variazioni del terreno e mantenendo lo stesso ritmo. La velocità varia, ma il ritmo resta uguale. Bisogna includere anche delle salite, più o meno pronunciate.
L'ultimo passo è solo per coloro che hanno raggiunto un buon livello in tutte le fasi precedenti e consiste nel praticare di notte, al buio.
5. Si può cominciare allenandosi al tramonto o alla luce della luna, su terreni conosciuti. Le notti di luna piena sono particolarmente propizie, non solo per la loro luce dolce, ma anche perché facilitano il passaggio alla coscienza del lato sinistro. Quando il nostro dominio aumenta, possiamo praticare la marcia in piena oscurità e su terreni sconosciuti. In realtà, quando si arriva a questo livello, già non si sta più realizzando un esercizio voluto dall'io, ma è il corpo che agisce, secondo un rapporto diretto con il mondo, al di là dei limiti della ragione.

Commenti alla tecnica
Poiché il dialogo interno e la marcia di potere non possono aver luogo simultaneamente, fin dai primi esercizi noteremo che il dialogo tende a fermarsi, senza nessuno sforzo diretto da parte nostra. Eseguire la marcia di potere esige la partecipazione di tutta la nostra energia e non ne resta neppure un po' per il dialogo interno. E' per questo che si tratta di un esercizio infallibile. Naturalmente, se si esegue l'esercizio continuando a pensare, staremo semplicemente correndo o trottando e non realizzando la marcia di potere. Nei gruppi che coordino insisto continuamente sul fatto che i praticanti ascoltino attentamente i messaggi del corpo, che non consistono in pensieri o idee, ma in sentimenti. Questi messaggi arrivano dalla conoscenza silenziosa che ogni essere umano possiede e che purtroppo ascoltiamo assai di rado. Nel caso degli esercizi diretti a eseguire la marcia di potere, bisogna enfatizzare che nessuno deve forzarsi a praticare passi che si trovino fuori della sua portata. Se ad esempio un gruppo sta scendendo da una montagna a passo di marcia e uno o più membri sentono di non essere in condizione di mantenere il passo degli altri, non devono cercare di farcela a tutti i costi. Segni chiari di una situazione del genere sono la perdita di fiato, la tendenza a inciampare spesso, cadere, perdere l'equilibrio, eccetera. In tal caso è meglio diminuire la velocità fino a ritrovare ritmo ed equilibrio.
Come ho già detto, eseguire la marcia di potere implica necessariamente la cessazione del dialogo interno e quindi la connessione con parti ignote del mondo e del nostro stesso essere. Inoltre, il fatto di realizzare un lavoro tanto intenso in uno stato di silenzio interiore, stabilendo una relazione attiva con il mondo della natura, apre la porta a stati d'essere che si trovano nella coscienza dell' altro io. Il nagualismo è una di tali possibilità.

Spiegazione della relazione tra la marcia del potere e il fenomeno noto come "nagualismo"
Eseguendo la marcia di potere, specialmente al buio e in luoghi disabitati, non è raro sentire di trasformarsi in qualche animale. Lo si sente nella respirazione, nella sicurezza degli spostamenti, nei suoni involontari che si emettono.
Io lo scoprii una volta in cui, lavorando con un gruppo, stavo percorrendo in fila indiana un'enorme collina a sud di Città del Messico. Era di notte e c'era la luna piena. Stavamo lavorando da due giorni con una serie di pratiche fuori dall'ambito verbale, che noi chiamiamo "la tribù". In quella camminata notturna c'era un senso di pace, di essere avvolti dall'oscurità ed eravamo un insieme di ombre che si spostavano nel loro ambiente naturale. I vestiti strani, il fatto che da due giorni non pronunciavamo una parola in linguaggi conosciuti e il lavoro intenso che avevamo praticato, ci avevano portato in uno stato di coscienza particolare, in cui l'ego e la storia personale non operavano. Eravamo una tribù e dovevamo raggiungere il territorio di un'altra tribù, che viveva sul lato opposto della montagna. All'improvviso cominciai a sentire una specie di urgenza che mi portò ad aumentare la velocità del passo. La vegetazione intorno diventò ancora più fitta e il mondo si oscurò del tutto. Era come se qualcosa mi spingesse, o piuttosto mi tirasse. Come se volessi inseguire e raggiungere qualcosa di sconosciuto. Poco a poco mi trovai a trottare e il ritmo si impossessò di me. Seppi che potevo trottare o correre per tutto il tempo che fosse stato necessario. Seppi che non sarei inciampato, malgrado intorno a me non vedessi che ombre. Cercai di fare in modo che il gruppo mi seguisse, tentai di "tirarlo", finchè ciò che tirava me si fece più forte e mi afferrò una specie di vertigine. Il mio passo si convertì in un trotto e il trotto in corsa. Mi vedevo correre in piena oscurità, fuori sentiero e a una velocità che in condizioni normali non avrei raggiunto neppure di giorno e su un terreno piano. Qualcosa era cambiato nella mia respirazione: era una respirazione profonda, selvaggia. Strani suoni ansimanti e grugniti uscivano dal mio corpo. Ero diventato un animale che correva per la montagna, nel suo elemento. Le ombre avevano senso per me. Non era strano spostarmi in quell'ambiente. Era il mio ambiente. Ero nato per quello, benché fino ad allora non l'avessi saputo. Tutto era mistero e scoperta. Tutto era magia e tutto era potere. Sperimentavo una felicità dell'altro mondo nell'essere un animale selvaggio, senza pensieri. Senza storia. Seppi che animale ero e seppi che lo sarei stato in segreto per il resto della mia vita su questa terra.
Ci volle del tempo per tornare a essere me stesso e per ritrovare i miei compagni. Non so cosa avrebbe visto un eventuale spettatore della mia esperienza. Suppongo che sarebbe dipeso dalla sua sensibilità e dalla sua capacità di "vedere". Un uomo comune si sarebbe sicuramente preso un bello spavento.
Per me, comunque, non ci sono dubbi su ciò che successe. Don Juan aveva ragione: non c'è altra realtà se non quella che sentiamo. La realtà è un sentire. Quella notte, correndo come un animale selvaggio per il monte, scoprii il principio del nagualismo.

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