PROGETTO PSICO- RIABILITATIVO "AMBIENTE MENTE CORPO"
Un approccio psico-somatico alla cura delle "Psicosi Schizofreniche"
Giulio Scoppola, Roma-1993

"Il grande assente, il misconosciuto, il denegato (...) dimensione vitale della realtà umana come dato globale pre-sensoriale e irriducibile, come ciò su cui si articolano tutte le funzioni psichiche" (D.Anzieu, 1974).

Aspetti teorici
Il Progetto psico-riabilitativo "Corpo-Mente-Ambiente" è nato per quelle patologie mentali definite come "psicosi schizofreniche".
La caratteristica di questo progetto è l'attenzione significativa che viene posta sul corpo dei pazienti e sul vissuto che accompagna il corpo: in movimento e in relazione ad altri corpi.
Non solo un'attenzione psicologica, o biologica, ma un interesse per la "mente" nel suo significato psicosomatico: "Come il sistema nervoso, la mente sta ovunque nel corpo" (E. Gaddini).
Per "arrivare" alla mente psicotica, cioè scissa, divisa in se stessa, viene scelto un mezzo che sia un percorso visibile e concreto: "Il corpo rappresenta il sostegno all'identità, il punto di rèpere dell'io", infatti "lo stesso pensiero per sistematizzarsi ha bisogno di percezioni visive, uditive, tattili" (M.Rosi).
Il Progetto "Corpo Mente Ambiente" si propone di far sperimentare percezioni sensazioni e vissuti ai pazienti psicotici, nella speranza di ritrovare e di riattivare, quanto più possibile, i percorsi interrotti della mente: dal corpo alla mente e poi di nuovo al corpo, ma un "corpo abitato" un corpo "strumento per abitare".
Nel 1968 Sartre diceva che "Il criterio di distinzione tra illusione e realtà è un dubbio da cui può essere percorso solo un io decorporeizzato, che non abita il mondo; infatti posso interrogarmi sulla differenza che separa il reale dall'immaginario solo perché abitando il mondo già mi sono fatta una esperienza di queste due dimensioni".
L'Io del malato, che non impegna più il corpo in un continuo radicamento orientante, rischia così di andare rapidamente incontro ad una esperienza, definita da Ey-Bernard-Brisset di: "Discordanza, incoerenza ideo-verbale, ambivalenza autismo, idee deliranti, profondi disturbi affettivi nel senso del distacco e della stranezza dei sentimenti, disturbi che hanno la tendenza ad evolvere verso un deficit ed una dissociazione della personalità".
I pazienti psicotici non conservano il vissuto temporale con il suo trascorrere regolare e ritmato, essi trasformano fantasticamente il vissuto personale connesso allo scorrere del tempo. Nell'esperienza normale "il tempo è la vita del corpo che nasce e muore e quindi la temporalità gli compete per una necessità interiore" (U.Galimberti, 1989). E' proprio questa capacità di cogliere il ritmo interno del corpo che è difficilissima nel paziente affetto da schizofrenia, a causa del distacco che egli ha con il proprio soma; "il ritiro dal corpo è quindi il ritiro dal mondo"(ibid.).
Ancora: "frequentando il mondo, il corpo non è mai percorso dal dubbio che la sua percezione possa essere una illusione rispetto a qualche presunta verità in sé, il mondo non è ciò che io penso, ma ciò che vivo, che abito" (J.P.Sartre, 1968).
Ma perché lo psicotico si ritirerebbe dal corpo?
Possiamo rispondere con Jaspers che: "il corpo è l'unica parte del mondo che venga sentita contemporaneamente dall'interno e percepita alla superfice. Esso è un oggetto per me, ed io sono questo corpo stesso. Sono due cose differenti: come mi sento corporeamente e come mi percepisco come oggetto; ma ambedue le cose sono collegate in modo indissolubile".
Infatti "sono cosciente del mio corpo come della mia esistenza e contemporaneamente lo vedo con gli occhi e lo tocco con le mani" (K.Jaspers,1969).
Se supponiamo allora che il paziente malato di psicosi abbia sperimentato e sperimenti tutt'ora emozioni intollerabili, ipotizziamo che egli possa avere "inter-rotto" un rapporto di consapevolezza, un vissuto, tra sé ed il proprio corpo; scindendo, con la psicosi, l'indissolubilità fra il percepirsi soggettivamente: sentimento, ed il percepirsi come oggetto: sensazione. In altre parole a partire dalla sensazione non seguirebbe più un conseguente vissuto affettivo ed emotivo (sentimentale).
Jaspers ci dice che: "Molto varia è la misura dell'unificazione o del distanziamento che compiamo tra noi e il nostro corpo, fino al distanziamento massimo nella osservazione medica di noi stessi, (...) il nostro corpo (diventa) un oggetto estraneo per constatazioni anatomiche, e noi, che in realtà siamo una unità inscindibile, consideriamo il nostro corpo come un vestito, in ultima analisi lontano e non identico con noi".

Il Progetto
I pazienti (da 5 a 7) sono scelti sulla base di un inquadramento diagnostico che faccia riferimento alla classe delle Schizofrenie (DSM-III-R). Obiettivi specifici del progetto sono la mobilizzazione e la migliore utilizzazione delle risorse personali; la ricostruzione di un senso di sé; lo sviluppo e la ricostruzione del senso della "volizione, coesione, continuità, affettività, che sono alla base della stessa ricostruzione del sé" (V.Mariani-A.Tonnicchi,1992). "Il Sé si trova naturalmente inserito nel corpo, ma può, in alcune circostanze, essere dissociato dal corpo" (D.W.Winnicott, 1971).
Durante le attività si cerherà di tendere alla progressiva ricomposizione della indissolubilità intrinseca del corpo di cui abbiamo parlato precedentemente: corpo sensibile e corpo sentito.
Si potrà infatti tentare di integrare, o re-integrare, attraverso un paziente lavoro psicologico e di contatto fisico, le informazioni sensoriali con i contenuti emotivi e gli aspetti inter-relazionali per poter risperimentare un corpo che sia "abitato e che consenta all'individuo di poter abitare, nel miglior modo possibile, il mondo" (G Scoppola, 1990).
Ulteriori obiettivi del gruppo sono il far sperimentare una crescita della tolleranza alle frustrazioni a partire da piccoli insuccessi immediatamente visibili; l'innalzare la soglia di reazione ansiosa, angosciosa o paralizzante, davanti ad alcuni compiti sportivi che richiedano il superamento di una certa "paura", in situazioni estremamente elementari ma vissute come rischiose o pericolose.

Prima fase: la piscina
Dai primi di settembre a metà dicembre il gruppo è in piscina per due volte a settimana. L'acqua è l'elemento naturale che accoglie e contiene, che accarezza e che riduce la pesantezza del corpo ridando agilità. La piscina, luogo in cui si entra separandosi dall' ambiente esterno, in cui ci si spoglia dai soliti vestiti, rappresenta una dimensione antica per l'uomo, che ha a che fare con la nascita. Le corsie delimitano uno spazio esclusivo per il gruppo.
Il rapporto operatori-pazienti è di 2 a 5, o 3 a 7: questa proporzione ottimale permette, e facilita, le dinamiche riabilitative del piccolo gruppo. Gli operatori entrano nell'acqua, mantenendo una relazione psicologica e fisica con i pazienti, attraverso la quale accogliere, raccogliere, pensare insieme e condividere, le sensazioni emozioni ansie del paziente, connesse all'esserci, in quel luogo, in quel momento, con quelle persone.
Tale rapporto accompagna il paziente durante lo svolgersi di tutta la lezione. Lo staff clinico agisce rinforzando dando suggerimenti e consigli, e sostenendo fisicamente prima ancora che psicologicamente. Il clima è rassicurante ed accogliente, anche se la "lezione" mantiene una certa strutturazione per l'esistenza di un programma.
L'operatore ha una grande importanza proprio per il suo ruolo di intermediatore tra il "corpo-paziente" e il "corpo-ambiente", tra "contenuto e contenitore". Egli è il facilitatore di vissuti emotivi positivi, suscitati da situazioni relazionali protette che sono mediate dalla presenza del suo stesso corpo.
In piscina è necessario operare una mediazione psicologica da una parte tra il vissuto del corpo che galleggia e le sue angosce connesse allo sprofondare, dall'altra tra l'Istruttore di nuoto ed il singolo paziente (il primo esperto della realtà piscina che richiede una presenza in quel luogo e in quel tempo, il secondo che tende a riproporre continuamente i "luoghi e i tempi" psicotici).

Seconda fase: la palestra
Dai primi di gennaio alla fine di aprile il gruppo "Corpo-Mente-Ambiente" si sposta dalla piscina alla palestra mantenendo la frequenza di due incontri alla settimana.
Il pavimento, rivestito di moquette, è la superfice dura su cui cominciare ed appoggiare e far lavorare un corpo non più alleggerito dall'acqua. La palestra non è un luogo esclusivo per il gruppo, i pazienti si confrontano con altre persone impegnate in un allenamento fisico.
La dimensione di tipo "materno", omogenea ed accogliente dell'acqua, cede il posto ad un'esperienza con un codice "paterno" dividente e strutturante rappresentato dagli esercizi ginnici in palestra.
Gli operatori sono in tuta come i pazienti; il loro ruolo si differenzia anche qui da quello dell'Istruttore, che rimane attento, soprattutto ora, a proporre un programma significativamente modulato sulla attuale fase del lavoro.
Ciò che si sperimenta in palestra è la fatica ed il riposo, il ritmo del respiro ed il battito del cuore (che cambia continuamente), l'equilibrio, la tensione muscolare ed emotiva ma anche il rilassamento.
Anche durante l'ora di palestra innumerevoli sono le occasioni di contatto fisico, tra operatori e pazienti e tra i pazienti stessi; l'attenzione è posta sulla capacità di portare a termine gli esercizi, di rimanere in alcune situazioni faticose o di sapere riprendere l'allenamento dopo una pausa di riposo.

Terza fase: l'ambiente natura
Dai primi di maggio alla fine di giugno le attività del gruppo vengono svolte all'aperto: in campagna al mare e in montagna.
Si passa dai due incontri precedenti ad una uscita settimanale della durata di una intera giornata. L'ambiente naturale è il luogo in cui la moquette si "trasforma" nell'erba del terreno; il vento le rocce e le piante, il sole il caldo il freddo, l'acqua del mare o del lago costituiscono gli strumenti della nuova esperienza riabilitativa.
Il "setting" di lavoro diventa il paesaggio naturale entro il quale inserire la qualità della relazione terapeutica trasformativa già sperimentata nei mesi precedenti.
Il percepire la mancanza di un tetto e dei muri che riparano, unita alla presenza di elementi fisici non costruiti o manipolati dall'uomo, ma esistenti prima ed a prescindere da esso, possono avere per i pazienti una funzione accogliente e dinamizzante al tempo stesso.
Con la terza fase del progetto si conclude l'itinerario riabilitativo durato un anno.

Conclusioni
Dopo esserci immersi nell'ambiente originario dell'uomo: l'acqua, siamo passati in un luogo più strutturato: la palestra, concludendo l'itinerario psico-riabilitativo a contatto con "l'aria", attraverso una terapia che potremmo chiamare "ambientale" od "ecologica".
L'individuo malato percorre così un sentiero psico-terapeutico capace, tra le altre cose, di riproporgli un vissuto emotivo (positivo), una migliorata integrazione somato-psichica e un innalzamento della stima di sé.
Riabilitare il corpo costituisce così una importantissima pre-condizione, comune a tutta la cosidetta "riabilitazione dei pazienti psicotici", per poter tentare di ristabilire quell'integrazione e quella complessità di un più sano rapporto sensoriale, emotivo ed intellettivo, con sé stessi e con il mondo.


L'uso della video-registrazione all'interno del Progetto
(G.Scoppola, 1993)

"Il dato generale che unifica le diverse esperienze con il video (...) è la ritrovata importanza della corporeità, attraverso (...) una esperienza sensoriale guidata e protetta" (D.Manghi, 1989).

Abbiamo pensato che il modo più completo e fruibile di raccontare il Progetto "Corpo-Mente-Ambiente", cioé un progetto che parla dell'integrazione fra corpo e mente, fosse quello di unire il testo alle immagini e alla musica. Il Video-Progetto (della durata di 45 minuti) è diventato allora lo strumento che meglio di ogni altro poteva raccontare, questo intervento psico-somatico (o somato-psichico) nel campo delle psicosi schizofreniche. Per questi motivi è nato, fatto in casa, il video "A": sul modello teorico-esplicativo.
Dall'esperienza del racconto del Progetto la video registrazione è stata successivamente utilizzata nella situazione clinica della "video- confrontazione" di gruppo. Credevamo infatti che per i pazienti psicotici poter vedere nello schermo T.V. il proprio corpo in attività, volesse dire "avere" un corpo, cioè uno "spessore" esistenziale; e vedere la propria immagine, la propria figura fisica potesse significare ricostruire una identità: cioè una esistenza più concreta.
Coerentemente con i presupposti sulla integrazione tra il contenuto e la forma espressiva, che ci avevano sostenuti nella realizzazione del primo video, abbiamo così realizzato un secondo video (video "B": sulla videoconfrontazione), con l'obiettivo di mostrare un fondamentale aspetto clinico della realizzazione del Progetto. Si tratta di una esperienza sperimentale di video-confrontazione, durante la quale gli operatori commentano, davanti ai pazienti (stimolandoli a fare altrettanto), le immagini registrate nel corso della realizzazione della prima fase (in piscina) del Progetto (ma il modello viene anche applicato alle fasi successive).
Differente significato psicologico riveste infatti il parlare ai pazienti dei problemi connessi al vissuto del loro corpo, dall'osservarlo insieme in televisione, proponendo e suscitando impressioni e commenti a partire da ciò che si vede.
Rivedersi nel lavoro già svolto suscita elementi rassicuranti, di memoria e di interiorizzazione; fa nascere una storia. Per potersi spingere nell'esplorazione del nuovo è necessario conservare e riattivare una memoria dell'ambiente psicologico-emotivo da cui si è partiti; "...l'immagine del nostro corpo che noi ci formiamo nella mente, cioè la maniera in cui il nostro corpo ci appare" (P.Schilder, 1935), si incontra così con il corpo che prende forma dal video. E ancora: là dove si spinge lo sguardo si potrà forse spingere il pensiero; e l'auto-osservazione, inserendo uno spazio e una distanza, operando una separazione, prelude all'autoriflessione.
Nelle situazioni psicotiche, in cui esiste una insufficienza delle informazioni sul sé, solo ciò che viene ri-preso e nominato (o ri-nominato) può acquistare forse uno "spazio esistenziale". Inoltre a partire dall'esterno visibile di questo "spazio", cioè dalla fisicità del paziente, si può pensare di gettare una (nuova) luce, sull'interno; su cosa c'è "all'interno" di quello spazio mentale: "cosa c'è dentro il tuo corpo?"; o ancora: "cosa vedono quegli occhi così fissi?"; "cosa entra o esce da quella bocca aperta?" e "cosa sente quella pelle?"...
Possiamo così dire che l'esperienza della video-confrontazione oltre a spingere i malati a fare i conti con una traccia ed una impronta corporea che rimane visibile nel tempo, un corpo "oltre (il quale) è il silenzio e il nulla" (F.Bacon), rappresenti "uno spazio protettivo, rassicurante e delimitato, in cui la visione di sé, rievocando lo sguardo della madre ideale, consente una buona introiezione" (D.Manghi, 1990).

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